
14 Mar 2011, Posted by christian in Destinazioni,Interviste,Perchè viaggiamo,Viaggi, 1 Comment. Tagged caraibi, edo passarella, in barca, norvegia
Fior di Norvegia – seconda parte
Continua e si conclude il nostro incontro con Edo Passarella. Anche in questo caso abbiamo parlato di vela, di viaggi passati e futuri, di mare ma anche di come si può vivere in una città come Milano.
Come è nato il tuo rapporto con il mare? Come sei finito a viaggiare in lungo e in largo per il pianeta?
La conoscenza e l’amore per l’acqua è nata con l’esperienza nel nuoto agonistico. Ero ancora un ragazzino, eppure abbastanza maturo da convincermi che non poteva esistere luogo al mondo dove spirito ed organismo si sentano più a loro agio. Acqua! Che bellezza. Dopodiché c’è stato l’incontro con la vela, che è stato per me qualcosa di folgorante. Muoversi liberi e nel silenzio, nel centro assoluto della natura, sospinti esclusivamente dal vento, è una sensazione che sfido chiunque a disprezzare. Poi forse è subentrato anche un briciolo di masochismo, probabilmente innato in molti esseri umani, perché fare i marinai talvolta è massacrante, e folle.
Credo che questa riflessione contenga anche i motivi per cui amo viaggiare in modo possibilmente “avventuroso”, cioè anteponendo alle comodità della moderna civiltà la propria libertà di movimento ed arbitrio. Ho fame costante di conoscenza, è per questo che viaggio. E quando non riesco a farlo concretamente, lo faccio servendomi di lettura e scrittura.
Più nello specifico ho cominciato ad appassionarmi all’esplorazione attraverso l’esperienza di fotografo. A questa ho in seguito aggiunto la mia predisposizione a scrivere e filmare, due passioni provenienti dalle mie esperienze professionali in campo televisivo. Con un simile cocktail di passioni in saccoccia, l’approccio con alcuni personaggi operativi al National Geographic è stato quasi inevitabile. È piaciuto il mio modo di raccontare viaggi, persone ed avvenimenti, da cui la proposta di collaborazione che tutt’oggi mi vede parte attiva dello staff NatGeo Italia.
Negli anni, come è cambiato il tuo rapporto con Milano, la città in cui vivi?
Un manicomio! Vediamo un po’… ammetto che Milano ce l’ho per forza di cose sottopelle. Vi sono nato io ed alcuni dei miei affetti più cari. Posso dirti che ultimamente io e la metropoli ci stiamo un poco perdendo di vista in quanto trascorro sempre più tempo lungo i litorali di Italia e Francia. Il nostro piccolo Nico non ha ancora compiuto due anni, ed io sono fermamente intenzionato a fargli assorbire l’aria insalubre di Milano il meno possibile. Un tempo Milano era la metropoli delle occasioni e delle opportunità. Oggi è una città con troppi limiti, per la fantasia e le ambizioni. Ormai si divora tutto, per cui molti se ne approfittano per smaltirvi la peggio merda. E mi riferisco all’architettura come ai generi alimentari. Non vi si riesce più a distinguere ciò che è sano da ciò che non lo è. Altrove, in certe province, ancora non funziona così, e la gente vi fa meno fatica a conservare dignità per se stessi e rispetto per l’ambiente in cui sopravvive. Ho esagerato? Sarà che sono nato a Milano ma sono stato svezzato fra i campi ed i boschi dei colli emiliani, e mal sopporto il senso di detenzione forzata tipico di certe metropoli. Mare e viaggi hanno ovviamente contribuito definitivamente a rendermi poco incline alle catene, benché virtuali.
Esiste un’immagine di un viaggio in particolare che ti porterai sempre dentro?
Oh, tantissime immagini. Forse i posti visitati sono un po’ troppi per eleggere qui su due piedi quale considero più magico e indimenticabile di altri. Ti dirò che glorifico con maggior facilità gli individui che vi ho incontrato. Considero luoghi e paesaggi il favoloso condimento della nostra favolosa esistenza, che è un’esistenza fatta in prevalenza di uomini e donne. L’essere umano ha la facoltà di costruire o distruggere, abbellire o ammorbare. Siamo noi gli attori protagonisti su questo irreplicabile pianetino blu. Per questo motivo, quando incontro personaggi degni di grande rispetto, individui che lottano contro l’ignoranza, che perdono il loro tempo per un ideale nobile, per difendere l’ecosistema o i privilegi di tutti, arrivo ad amarli assai più di un caleidoscopio tramonto, in quanto molto più rari da individuare. Ma se proprio insisti col voler sapere quale momento ho trovato più significativo di altri… me ne vengono in mente tre. Ad esempio quella volta che a Madras, al posto del portavoce dello swami Sai Baba dal quale avrei dovuto conoscere i grandiosi progetti idrologici in corso, mi si presentò nella hall dell’albergo uno dei più importanti manager della nazione indiana. Adepto del noto santone, sì, ma anche presidente della più importante compagnia di costruzioni indostana, che veniva a recuperarmi personalmente con limousine e autista! Una cosa del genere in Italia sarebbe fantascienza. Fu la prima volta che mi sentivo nei panni d’un inviato coi fiocchi. Sensazione gradevole quando ti trovi in uno dei luoghi più inospitali del mondo com’è il Tamil Nadu.
Poi ci aggiungerei l’approdo in barca alle pendici della soverchiante dentatura che disegna la skyline delle isole Lofoten, in Norvegia, scampati alla burrasca di cui parlavamo prima. La nebbia che svanisce, il mare che smette di menar pugni, noi ancora vivi e interi, al cospetto delle più primitive formazioni rocciose emerse dal terracqueo. Grandioso. Infine, mi torna spesso in mente una turista australiana che conobbi alle Samoa, che vedendomi vagabondare per l’isola di Upolu armato di videocamera e taccuino, una volta scoperto che provenivo dall’Italia mi citò un libro che stava leggendo su consiglio della figlia: Un indovino mi disse, del mitico Tiziano Terzani. Inutile sottolineare come io non valga un pelo della sua candida barba, ma il solo avere suscitato il ricordo di colui che considero il più sublime e illuminato reporter italiano, mi diede una scarica di adrenalina che nemmeno immagini. Il morale alto è tutto quando fai questo lavoro.
Il prossimo viaggio che hai in programma?
Ho avuto in serbo per lungo tempo un progetto di navigazione lungo la costa cinese. L’idea iniziale prevedeva la partecipazione di un caro amico, esperto di Cina come pochi altri: Giorgio Bettinelli. Ma la sua prematura e tragica scomparsa m’ha fatto definitivamente accantonare il sogno. In parte devo ancora smaltire quella triste parentesi. Oltre all’amicizia che ci ha legato, Giorgio era una vera leggenda per me. In compenso sono da pochi giorni entrato a far parte attiva di un altro progetto molto appassionante, che sta pianificando l’esplorazione per terra e per mare di buona parte dello Stretto di Magellano, sulle orme dei nobili viaggiatori che hanno fatto la storia di quei luoghi considerati a ragione piuttosto inospitali.
Il punto di riferimento della spedizione sarà Puerto Williams, località dove si svolge nel mese di Maggio una delle regate più suggestive al mondo, la cosiddetta Glorias Navales Regatta, che penso approfitterò per documentare.
Vedremo. La data di partenza è ancora da stabilirsi. Come in Norvegia, anche laggiù ogni iniziativa va necessariamente intrapresa nella stagione favorevole, che è piuttosto breve. Per ora stiamo definendo gli ultimi accordi con gli sponsor, sperando che la crisi economica in corso non li costringa a chiuderci i rubinetti in faccia sul più bello. Che già son quattro soldi…
Nel frattempo avrei intenzione di dedicarmi alla descrizione per iscritto degli arcipelaghi mediterranei. Abbiamo isole uniche al mondo a poche miglia dalla nostra linea costiera. Veri e propri scrigni sempre pronti a regalare storie di mare e di vita uniche nel loro genere. Ovviamente la prenderei come valida scusa per navigare un po’ con la mia vetusta barchetta alata di nobile stirpe inglese. Due gabbiani con un’acciuga! Tanto per rimanere in tema…
Un’ultima cosa: io non sono esattamente un lupo di mare, le uniche esperienze che ho fatto di barca e mare un po’ grosso, ero su barche a motore e dopo le prime onde ero con la testa fuori che rimettevo l’anima. Nel libro racconti di un episodio in cui anche il tuo metabolismo ti ha fatto un po’ tribolare, ci spiegheresti però come hai fatto un minuto dopo a metterti al timone mentre io ho passato più di un’ora e mezza in un bar con un litro di tè cercando di tenere a bada lo stomaco??
Ha ha ha!! Be’, un simile argomento non onora la conclusione di questa intervista! Ma comprendo la tua curiosità. Del resto la vita è per metà paradiso e per l’altra metà inferno. Sulla seconda vomitiamoci su, se può servire.
Tanto per cominciare ti dico che in quei momenti il timone era in mani ben più affidabili di quelle d’un nauseabondo. Comunque la navigazione a motore favorisce assai di più lo scatenarsi della nausea rispetto alla vela, in quanto tende a non assecondare il naturale movimento del moto ondoso. OK, dalla tua espressione mi sa che non t’ho convinto…
Vedi, purtroppo sin da piccoli veniamo educati a vivere tale “normale” fenomeno come un episodio odioso e allarmante, oltre che disgustoso. Invece, a meno che esso non sia associato a virus o avvelenamento, sarebbe più corretto paragonare la nausea allo starnuto. Un momento liberatorio, sebbene da gestirsi con diverse precauzioni per così dire… igieniche. Oltre a ciò, ti consolerà sapere che certi grattacapi capitano anche ai migliori. Catherine Chabaud, ad esempio, celebrata navigatrice solitaria francese protagonista di più circumnavigazioni, nel suo libro Possibles Rêves, di cui non so se esista una versione italiana, confessa come non sia mai riuscita a sconfiggere la fastidiosa nausea che la mette letteralmente kappaò ad ogni partenza, sensazione che talvolta l’accompagna anche per molti giorni consecutivi. E stiamo parlando di una professionista che parte per attraversare tre oceani! Poi passa. È così. Giusto il tempo di assestare il proprio metabolismo, appunto. Troppo spesso ci imbarchiamo poche ore dopo aver abbandonato città, computer e scrivania. Circondato dal mare il nostro metabolismo cambia sensibilmente, dobbiamo concedergli il tempo necessario ad acclimatarsi. In presenza di iodio il nostro organismo diviene nei giorni più forte e reattivo, quindi meno soggetto a subire le conseguenze della nausea da moto ondoso. Sicché basta concedersi il tempo necessario per ambientarsi, ed il più delle volte vedremo svanire la scocciatura in questione. In base a questa mia opinione sconsiglio l’uso di medicinali, che al contrario fiaccano la reattività predisponendo a debolezza fisica e di stomaco. Idem quei braccialetti, che servono solo a predisporci psicologicamente all’idea che la nausea è un nemico più forte di noi.
Riepilogando: prendila con allegria, e convinciti che la convivenza col mare è cosa talmente appagante che un poco di leggerezza di stomaco è ancora un prezzo tollerabile, che vale la pena di pagare per poi non pensarci più. Il resto è felicità. Ma non sono un farmacista, sicché se vuoi fidati se no fai come credi. Male che vada ci sono gli odiosi aerei…
Si conclude qui la nostra intervista con Edo; augurandoci che possa condividere ancora con noi le sue esperienze e i suoi progetti futuri. Noi di NoBordersMagazine, lo vogliamo ringraziare per la disponibilità che ci ha dimostrato in questa occasione. Io, in particolare, lo ringrazio perchè mi ha praticamente convinto a tornare su una barca!
(tutte le foto di questo articolo sono di Edo Passarella)