Location: cinema & viaggi #2 – isole

06 Oct 2011, Posted by in Cinema, 3 Comments. Tagged , , , , , ,

Location: cinema & viaggi #2 – isole


Che cos’è un’isola? La definizione più stretta che mi viene in mente è un pezzo di terra circondato dall’acqua. Un’isola è una zona geografica indipendente, staccata dalla terraferma. Ma è anche molto altro. Qui su NBM parliamo spesso e volentieri di isole, perché credo che ci sia qualcosa nel concetto stesso di isola che comprende le idee più importanti del viaggiare – con il corpo o con la fantasia – meglio di qualsiasi altro tipo di paesaggio: varcare confini, attraversare il mare, sopravvivere in condizioni di (ehm) isolamento, meditare e riflettere sul proprio posto nel mondo. Non per niente, immaginarsi a sopravvivere su un’isola deserta è una fantasia ricorrente nella società da ben prima di Lost. Vuoi per scappare dalle convenzioni sociali, dalla frenesia e dai ritmi della vita urbana, vuoi per immaginare di essere sovrani assoluti di uno spazio limitato come se lo fossimo dell’universo intero, il gioco della lista dei dischi, libri e oggetti che ci accompagnerebbero in uno scenario del genere l’abbiamo fatto tutti.

Si sa che viaggiare significa soprattutto creare e raccontare storie di viaggi, e per il cinema un’isola è uno stratagemma narrativo non da poco. Fondamentalmente un’isola è il luogo ideale per l’ambientazione di un film: le limitazioni geografiche intensificano le caratteristiche dei personaggi, creano conflitti e dinamiche necessarie allo sviluppo di una trama, e suscitano misteri e quesiti da risolvere. L’isola al cinema è avventura ma anche meditazione esistenziale, paradiso perduto ma anche inferno in terra, e pone le condizioni perfette per l’horror, per il trattato filosofico e per gli esperimenti di osservazione sociale: Robinson Crusoe (in tutte le sue versioni, come per esempio Cast Away), Il signore delle mosche, The Wicker Man, Papillon, e L’avventura non potrebbero essere film più diversi tra loro, eppure formano un arcipelago cinematografico che cerca di investigare le conseguenze dell’isolamento sulle costruzioni sociali.

The Truman Show – scommetto che con tutte le cose interessanti da dire su quanto questo film sia stato una profezia dell’evoluzione del reality televisivo, in tanti non si sono accorti che lo studio in cui vive Truman sotto lo sguardo delle telecamere è un’isola artificiale. L’osservazione continua della vita di Truman sottolinea l’impossibilità dell’isolamento in un mondo che è in continua telecomunicazione. Seppur bombardato da programmi che gli ripetono “non c’è bisogno di partire da casa per scoprire il mondo intero”, Truman vuole uscire da Seahaven Island, vuole viaggiare, vuole andare alle Fiji (altre isole!): la curiosità verso il mondo esterno è l’impulso del viaggio che lo spinge a rompere le regole e a scoprire chi è veramente e come è fatto il suo mondo.

Prospero’s Books (L’ultima tempesta) è un adattamento della Tempesta di Shakespeare diretto da Peter Greenaway, e decisamente non è un film per tutti: è barocco, intellettuale e poco accessibile. Come introduzione base alla commedia è sicuramente più consigliabile la versione di Julie Taymor (anche se questa presenta problemi diversi per chi invece conosce bene il testo), ma l’isola di Prospero immaginata nel film di Greenaway è ben più interessante. Prendendo spunto dai versi di Calibano che descrivono l’isola come un luogo ‘full of noises, / Sounds and sweet airs, that give delight and hurt not’, e dal testo filosofico Utopia (un’altra isola!) di Thomas More – satira e teoria del buon governo secondo il pensiero Rinascimentale europeo – Peter Greenaway crea la sua isola attraverso la biblioteca immaginaria di Prospero, coreografando il tutto sulle musiche di Michael Nyman. L’isola di Greenaway è un spazio in cui i personaggi praticano la magia, meditano vendetta e imparano il perdono.

King Kong mette a confronto due isole, Manhattan e Skull Island: la civilizzazione assoluta contro la natura barbarica, i grattacieli contro il re della tribù primitiva. Vi consiglio il classicone del 1933 piuttosto che quello tutto sintetico di Peter Jackson. Sicuramente il substrato filmico del vecchio King Kong è problematico visto con gli occhi di chi ha studiato il significato del Codice Hays, il sistema di censura utilizzato nel periodo classico di Hollywood. Una delle immagini più famose e controverse della storia del cinema – la bestia nera, che minaccia la sicurezza dell’uomo bianco catturando la bella bionda e portandosela via – è una metafora che rispecchia la paura dell’America degli anni ’30 verso gli incroci tra razze come la xenofobia contemporanea. Forse ancora più problematico per noi è chi ha visto nell’immagine del Kong di Peter Jackson che scala l’Empire State Building una specie di riferimento a Bin Laden e alla distruzione del World Trade Center e lo spettro dell’11 Settembre. (Curiosità: nel King Kong del 1976 Kong si arrampicava proprio sulle Torri Gemelle). La comunicazione tra le due isole è praticamente impossible se non tramite le immagini.

Ambientato principalmente nell’isola di Guadalcanal nell’oceano pacifico, La Sottile Linea Rossa è uno dei film di guerra più stupefacenti mai realizzati (forse secondo solo a Apocalypse Now, al quale sta più o meno come ying sta a yang). Anti-guerra ma non pacifista, il capolavoro di Terrence Malick fa domande senza risposte, propone tesi a parole ma le disfa con le immagini, trasformando il film di guerra in un saggio di filosofia incentrato sul rapporto tra l’animale-uomo e il mondo naturale, sottolineando la giustapposizione tra la ricerca di significato trascendentale dell’uomo e la continuità indifferente del mondo naturale che si rinnova e rinasce nonostante distruzioni continue.
La sottile linea rossa è il confine immaginario di un’isola in cui vive l’uomo, il contorno di un’arroganza infinita ma anche della capacità analitica e spirituale. I personaggi si perdono a cercare di disperdere i confini che isolano uomini e donne, ma anche questo mondo e quell’altro. E’ davvero difficile parlare dei film di Malick senza scendere nel linguaggio mistico, ma davvero questo film è un’esperienza sensoriale potentissima.

Archipelago (nella foto in alto e in home page) è un film recente, diretto dalla giovane regista britannica Joanna Hogg. I protagonisti sono una famiglia in vacanza a Tresco nelle isole di Scilly, battute dal vento e dalla pioggia. “Nessun uomo è un’isola / completo in sé stesso; /ogni uomo è un pezzo del continente, / una parte del tutto” diceva il poeta John Donne. E invece per Joanna Hogg ogni individuo è un’isola, ogni famiglia un arcipelago di individui che sono relazionati tra loro quasi unicamente attraverso una casuale vicinanza geografica, un patrimonio geologico o genetico comune. Ognuno cerca di negoziare i proprio spazi per vivere in balia degli elementi e cercare di muoversi, spostarsi, crescere indipendentemente dalle circostanze assegnate alla nascita. Grandi, immensi silenzi indicano la repressione emotiva e sentimentale che il cinema (e anche un po’ l’esperienza) ci hanno insegnato ad associare agli inglesi. Il substrato filmico rivela conflitti sottopelle che crescono da piccole onde fino a sbattere contro gli scogli come i cavalloni di mare che ci ricordiamo da bambini. Tutte le famiglie felici si assomigliano, mentre tutte le famiglie infelici sono infelici a modo loro, diceva un altro grande scrittore, ma sfido chiunque a non riconoscere certi comportamenti – astio e rivalità tra fratelli e sorelle, madri distaccate ma opprimenti, padri invisibili ma sopraffacenti. Non un feelgood movie, insomma, ma un lavoro di osservazione interessante, un’analisi dell’essere umano fattosi isola molto convincente. (Solo l’uso del suono, le inquadrature e i movimenti di macchina faranno impazzire i cinefili tra voi; pensate un film di Rohmer con la serietà formale di Haneke, ecco).

Visto che vi è piaciuta l’idea del festival di cinema nel deserto, le isole non sono da meno: lo Zanzibar International Film Festival e il Coney Island Film Festival sono già passati per il 2011, ma c’è ancora tempo per pianificare un giro al Waimea Ocean Film Festival (Big Island, Hawai’i, 5-8 Gennaio 2012). E per completare il tutto, il sito della fondazione culturale Scotland’s Islands ha una lista di vari eventi cinematografici e non sparsi per le quasi 790 isole della Scozia settentrionale.

Aggiungo che la mia isola cinematografica preferita, l’Islanda, offre un servizio di cui vi avevamo parlato tempo fa. Icelandic Cinema Online è un meraviglioso sito in cui recuperare ottime pellicole locali sottotitolate in inglese (a volte anche in tedesco, spagnolo e danese; e sto raccogliendo firme per richiedere i sottotitoli italiani). C’è un sistema pay-per-view che viaggia dagli 1,5€ ai 5€, per “affittare” lo streaming dei film per 24 ore, e ci sono a disposizione già moltissimi film indipendenti, classici, documentari, e film musicali islandesi. Qui la loro pagina Facebook per aggiornamenti, concorsi e offerte.

Ora tocca a voi – raccontatemi nei commenti: che film portereste con voi su un’isola deserta?

Irene Musumeci

Filmografia selezionata – film e isole: So dove vado (Powell & Pressburger, 1945); Stromboli terra di Dio (Roberto Rossellini, 1950); L’Isola del tesoro (Byron Haskin, 1950), il primo film interpretato da attori in carne e ossa prodotto dalla Disney (ma di tutte le versioni cinematografiche del classico di Robert Louis Stevenson la mia preferita è senza dubbio quella dei Muppets con Tim Curry); The Wicker Man (quello del 1976 fa paurissima, il remake con Nicolas Cage lasciate perdere); L’isola perduta (John Frankenheimer, 1996); Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera (Kim Ki-duk, 2003); Shutter Island (Martin Scorsese, 2010).

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  • http://byronic.tumblr.com byronic

    Io ho problemi grossi con l’horror (perché fondamentalmente sono facilmente impressionabile) quindi dopo la prima visione non ho mai più avuto il coraggio di riguardarlo. Ma me lo ricordo MOLTO bene e sì, è un capolavoro.  (Mi sono dimenticata di scrivere che sconsiglio la visione di Prospero’s books coi sottotitoli in Olandese, vero?)

  • http://twitter.com/Tanachvil Francesca Guidi

    The Wicker man è un capolavoro. Ogni volta che lo rivedo (lo rivedi spesso? Beh, insomma, ogni tanto, suvvia) il desiderio di isolamento aumente piuttosto che venire dissipato dall’inquietudine del film.

http://www.nobordersmagazine.org/wp-content/themes/press
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