La nostra passione per la bici non è una novità. Tra giri (e video) Eroici, pedalate in Africa, Asia, Lombardia e festival di cinema & bici, quando si tratta di pedalare non ci tiriamo mai indietro. Potete immaginare il nostro entusiasmo quando abbiamo scoperto (in leggero ritardo, dobbiamo ammetterlo) che un gruppo di ragazzi under 30 nel 2010 ha pedalato attraverso l’Italia toccando uno ad uno tutti i 44 siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Abbiamo chiesto ad Alessandro Cristofoletti, ideatore del progetto e regista dei video UNESCO In Bici, com’è nata l’idea. E un sacco di altre domande. Ecco le sue risposte.
COM’È NATO UNESCO IN BICI: Nella primavera del 2009 ero all’amo. All’orizzonte non si intravedeva nessuna prospettiva. Già l’anno prima, a partire dal marzo 2008, dopo la laurea triennale in Beni Culturali, avevo rinunciato a proseguire gli studi perché arciconvinto che non facesse al caso mio. Per non parlare degli sbocchi lavorativi. Il comparto culturale in Italia è bloccato per i continui e ripetuti tagli e non consente un ricambio. Si va nel migliore dei casi da un contratto a progetto a un altro e per onestà devo riconoscere che io mi trovo in assoluto in uno dei luoghi più fortunati d’Italia, la Provincia Autonoma di Trento, una delle prime Provincie per risorse messe a disposizione dei cittadini, anche nel settore della cultura. Decisi perciò di rifiutare quanto un percorso istituzionale poteva offrirmi, tentando una via più avventurosa e originale ma che avrebbe sicuramente comportato rischi maggiori di fallimento.
Iniziai con il girare e comporre colonne sonore di videoclip e un documentario su un’impresa ciclistica estrema, cosa che mi appassionò moltissimo e che mi avvicinò all’idea di un grande viaggio in bicicletta. Ma dove? E con che mezzi realizzarlo?
Sono sempre stato attratto dalle attività che permettono l’introspezione, che facilitano una maggiore conoscenza di se stessi attraverso il superamento di difficoltà e rischi in un contesto che richiede un certo dispendio energetico, come l’arrampicata, che pratico fin da piccolo. Stabilii allora che se avessi rischiato lo avrei fatto con le cose che amavo. Lo sport, lo studio dell’arte, il cinema, l’amore per l’ambiente.
Nel giugno del 2009 le Dolomiti entrarono a far parte del Patrimonio dell’Umanità UNESCO e fu quella notizia a darmi l’idea per il viaggio. Avrei unito tutte le mie più grandi passioni per realizzare quello che sarebbe stato il primo attraversamento di tutto il Patrimonio UNESCO italiano in bicicletta.
I COMPAGNI DI VIAGGIO: Avevo però bisogno di compagni di viaggio. Coinvolsi Michele Rampanelli, uno dei miei migliori amici e studente in Ingegneria Aerospaziale al Politecnico di Milano, Marco Menestrina, cameraman di professione, e Samuele Pellegrini, studente in Scienze delle Comunicazioni a Padova. Io e Samuele ci eravamo conosciuti lavorando in una cantina vinicola durante le vendemmie e ci eravamo sentiti talmente in sintonia che avevo deciso di chiamarlo per quest’avventura. “Se devo fare tre mesi e mezzo di viaggio”, pensai, “devo quantomeno limitare al massimo gli screzi che possono sorgere”. Sam era la persona ideale. Sempre allegro e disponibile con tutti. Talmente disponibile che quando io ebbi la certezza di non poter salire in sella e compiere il viaggio in bicicletta per un problema al ginocchio, lui si disse felice di potermi sostituire pedalando lungo i 5000 km di strada previsti. Io avrei seguito i due ciclisti a bordo del camper con Marco Menestrina, che li avrebbe ripresi per creare un documentario.
Verso aprile Marco mi comunicò che per lavoro dopo il primo mese avrebbe dovuto abbandonarci. Subito dopo Michele mi scrisse che non sarebbe riuscito a laurearsi prima della partenza. Decise che avrebbe approfittato della sessione successiva, quella di luglio, periodo nel quale noi saremmo stati in Sardegna. A circa metà dell’itinerario, quindi, anche Michele se ne sarebbe andato.
Per risolvere il problema chiesi aiuto ad alcuni amici, e questi si dissero disponibili per dare una mano al progetto in un pezzetto del viaggio. In cambio avrebbero potuto visitare alcune fra le maggiori bellezze d’Italia senza spendere un soldo. Luigi dal Bosco ci avrebbe raggiunti a Siena dopo l’addio di Marco per accompagnarci fino a Roma. Efrem Ferrari avrebbe partecipato all’attraversamento dell’entroterra sardo e Marco Zanetti, dopo la sessione di esami estiva, sarebbe giunto a Palermo e da lì avrebbe viaggiato con me e Samuele fino al nostro ritorno sulle Dolomiti.
IL VIAGGIO: Il 3 giugno 2010 partimmo da Trento dirigendoci verso ovest, verso il nostro primo sito UNESCO: le incisioni rupestri della val Camonica. Dopo questo ne avremmo visitati altri 43, compiendo oltre 5000 km.
I primi giorni furono senz’altro difficili nell’abituarsi a un ritmo di vita e a spazi completamente diversi da quelli a cui eravamo avvezzi. Van Mac, il nostro vecchio camper, così era stato ribattezzato, dagli originari 5 posti era stato riadattato ricavando 4 posti letto e un angolo ufficio con tanto di armadio fatto su misura per stipare dischi fissi, computer, stampante, cancelleria e oltre 500 DVD che erano necessari per archiviare giornalmente il materiale backup di foto e video. In alcuni momenti, la sera avevamo 4 computer accesi, uno a testa. Avevamo le giornate sempre molto impegnate e i ruoli erano fin dall’inizio precisi e ben definiti. Grazie a questo clima lavorativo non vi furono litigi di sorta per tutti i 108 giorni di viaggio. Anzi, quando la sera tardi ci rilassavamo, riuscivamo a recuperare in poche ore, fino ad addormentarci, il divertimento del quale avevamo fatto a meno durante la giornata.
Le giornate potevano esser di due tipi, di trasferimento o di visita ai siti. Durante le prime i ciclisti pedalavano lungo l’itinerario e noi, con il camper, davamo loro supporto facendo qualche ripresa video, per poi sfrecciare verso il campeggio successivo a preparare il pranzo per tutti. Il pomeriggio lo si dedicava in genere a modificare foto, a scrivere il diario di viaggio, a masterizzare DVD, ad aggiornare il nostro sito, a chiamare le soprintendenze per le liberatorie dei video e a contattare le persone che avremmo dovuto intervistare. Oltre a questo, ci documentavamo sui siti a venire, stilando una serie di domande per l’intervista. Nei giorni di visita ai siti, invece, cercavamo di documentare il più possibile con la telecamera e la macchina fotografica quanto stavamo vedendo, dentro e fuori da musei, centri storici e parchi archeologici. In alcuni casi, come in Sardegna o in Sicilia, il sole era talmente cocente durante il giorno, che la sera crollavamo sfiniti nei nostri lettini. Dicendo ciò non cerco di convincere nessuno che è stata un’impresa. Non ci siamo mai sfiancati al pari di qualche esploratore delle terre del nord. Le tappe in bici non sono mai state più lunghe di 200 km. Eravamo in Italia, pur sempre in patria e con mille sicurezze. Fare tutto ciò per tre mesi e mezzo è stato molto intenso e provante, ma ringrazio infinitamente chi mi ha permesso di realizzarlo, e la voglia che mi ha spinto a credere di poterlo fare, poiché questo progetto non ha fatto altro che aumentare in me la curiosità e l’interesse per quanto visto e anche per quello che non ho potuto vedere.
A parte alcuni piccoli inconvenienti il viaggio si è svolto fortunatamente senza intoppi. Non siamo stati in grado di effettuare le riprese a Siena perché siamo arrivati proprio nel giorno del palio, mentre a Caserta per un problema alle linee telefoniche non siamo riusciti a farci dare in tempo le autorizzazioni per riprendere la Reggia.
Come tappa più impegnativa potrei citare quella da Milano a Torino, in cui grazie a un errore dei nostri navigatori, i ciclisti dovettero compiere delle deviazioni che allungarono la biciclettata di oltre 70 km, facendogliene fare oltre 200. Quasi tutti sotto una pioggia torrenziale e immersi in una fitta nebbia.
PERCHÉ IN BICI? La bicicletta consente di viaggiare quasi ovunque, al prezzo di una dose di fatica commisurata all’impresa che si compie. Di conseguenza molti la utilizzano non più al solo scopo di disputare corse o per spostarsi da casa al lavoro, ma anche come vettura per trasformare in modo radicale le proprie vacanze, rendendole più modeste ed essenziali, certamente più faticose e, dal momento che lo stress viene liberato attraverso il sudore, meno oziose.
Eppure il ciclista, obbligato a rimanere vigile e attento, benché la guida del mezzo non gli sottragga tutta l’attenzione, si dimostra ben permeabile nei confronti di cose e persone che per caso o intenzionalmente si incontrano lungo il tragitto; senza contare che colui che procede con la bicicletta è notoriamente più lento di automobilisti e viaggiatori d’aereo, e la lentezza negli spostamenti facilita le nuove conoscenze e la migliore messa a fuoco di luoghi e opere. Infine, muovendosi in bici si ha un approccio diverso alle cose, più diretto e meno superficiale. La meta che si raggiunge, agli occhi di chi pedala, suscita curiosità e rispetto, aumentando il proprio valore per il tempo e la fatica che questa ha comportato. Da uno degli strumenti di viaggio più modesti come la bici può scaturire quindi la possibilità, per chi lo voglia, di approfondire un interesse legato a qualsiasi luogo (o quasi) in modo trasversale, atipico, facendo emergere considerazioni che altrimenti non sarebbero venute alla luce.
Nell’unire quest’affezione per la bicicletta alla volontà di promuovere una nuova sensibilità che coniughi attività fisica e intellettuale, il mondo dello sport a quello della cultura, è nato il progetto UNESCO in bici: un viaggio lento e meditato assieme alle due ruote attraverso i più importanti siti culturali e naturali italiani, quelli del patrimonio dell’umanità UNESCO.
L’IMMAGINE DELL’ITALIA: L’idea che mi sono fatto attraversando l’intero Patrimonio UNESCO italiano è che questo paese non abbia ad oggi la necessaria maturità per gestire in modo adeguato quanto possiede. Rimane così imbavagliato il sistema culturale e turistico, il quale vive, e in alcuni casi sopravvive, per merito di iniziative particolari e alimentato dalla fama che l’Italia vanta al di fuori dei propri confini. Nulla o quasi nulla è fatto a livello statale per rinvigorire e sviluppare in modo innovativo l’apparato di tutela e di fruizione (parlo di una fruizione intelligente e non dissennata) del patrimonio italiano. Siamo fermi in un settore dove (come diceva anche Milena Gabanelli a Report in una puntata del dicembre 2011) non dovremmo temere concorrenza, poiché l’Italia ha ciò che tutti gli altri Paesi non hanno. Non a caso siamo il primo Paese al mondo per numero di siti Patrimonio dell’Umanità. C’è una forte domanda (noi abbiamo frequentato i campeggi nei pressi di ogni sito UNESCO per tre mesi e mezzo e abbiamo conosciuto centinaia di turisti stranieri che pianificano le proprie vacanze con la lista UNESCO alla mano), al pari di un’offerta mal amministrata e sottodimensionata.
Nel nostro piccolo abbiamo attraversato tutta la possibile incoerenza e farraginosità di una struttura stanca e inefficiente che, a seconda dei luoghi e dei siti, procede a velocità diverse creando disparità enormi per beni della medesima importanza storica o artistica o naturale. Basti pensare che durante il viaggio, in alcuni siti, per assolvere a tutta la burocrazia richiestaci, dovevano lavorare due persone per giornate intere, in altri bastava presentarsi con telecamera e microfoni sottobraccio. Questo per poter fare, in entrambi i casi, un po’ di foto e delle riprese video (che essendo noi un progetto no profit di divulgazione culturale avrebbero avuto come unico scopo quello di fare loro pubblicità gratuita). Tutte o quasi le persone che abbiamo intervistato (assessori di piccoli comuni, professori, direttori di musei e di parchi, geologi, architetti, guide turistiche) hanno palesato la loro insoddisfazione per quanto si potrebbe fare e che, per mancanza di risorse, non può essere fatto. Nella maggior parte dei casi sono proprio queste figure le uniche a battersi tenacemente contro i vizi di questa incuria, continuando a proporre nuove idee anche a costo di rimetterci più tempo e denaro di quanto sarebbe loro richiesto. In certe situazioni però non è possibile agire di propria iniziativa, ergo le cose rimangono come stanno per anni, come nel caso di Agrigento, Pantalica e Pompei, dove è stata rinvenuta solo una parte delle vestigia. L’altra parte rimane volutamente sotto terra perché non ci sono le risorse per riesumarla e gestirla. Buona parte dei tesori archeologici e storici presenti soprattutto al sud potrebbe essere ancora sepolta.
Ciò che stupisce rispetto a quanto detto è che non si parla di un’economia a perdere, ma di un sistema che se gestito bene può fare aumentare di molto sia i posti di lavoro direttamente collegati ai beni culturali e naturali, sia quelli dell’indotto, che potrebbe beneficiare di una ricchezza che per una discreta percentuale deriverebbe da portafogli stranieri. Tutto questo collegato a un automatico volano sull’ospitalità e la ristorazione, altri elementi per i quali l’Italia si è guadagnata un buon nome. Solo delle politiche dissennate e miopi non riconoscerebbero l’importanza di elementi unici e insostituibili nel nostro paese quali i beni Culturali e Naturali e di un loro approccio attento e sostenibile. Anche perché, come abbiamo visto, questo atteggiamento, unito a scelte adeguate in ogni rispettivo settore, porterebbe indiscutibilmente dei benefici al comparto alberghiero, a quello enogastronomico, all’artigianato e alle piccole imprese.
Infine, l’UNESCO fornisce una serie di norme per la conservazione architettonica, urbanistica, paesaggistica e artistica che vanno rispettate dai siti perché essi possano conservare la nomina. In alcuni casi, quando a essere sito UNESCO è il centro storico di una città o quasi un intero centro abitato (come ad esempio Alberobello), è particolarmente difficile per la popolazione conciliare questo regolamento con esigenze di ordinaria amministrazione come la ristrutturazione di una casa, il rifacimento di un tetto o l’imbiancatura di una facciata. I costi per tali lavori sono più alti perché devono intervenire operai specializzati e a volte veri restauratori anche per case abitate da famiglie non particolarmente abbienti. Vengono così a crearsi dei sentimenti contrastanti in cui le persone sono da un lato orgogliose e dall’altro frustrate. Lo stato anche qui si rivela inefficiente perché gli aiuti e gli incentivi si rivelano scarsi, ritardatari e inadeguati. Sono quindi molte le famiglie che abbandonano un trullo o una casa di interesse culturale per l’impossibilità di far fronte alle spese di manutenzione.
COSA MI HA LASCIATO UNESCO IN BICI: Se da un lato ho potuto prendere nota di una serie di comportamenti stagnanti o poco accorti riguardo alla conservazione e allo sfruttamento del nostro grande patrimonio, dall’altro il poter vivere questa esperienza mi ha arricchito enormemente, sia sul piano prettamente tecnico, che su quello umano. Indubbiamente un così complesso e variegato insegnamento non è facilmente trasmissibile, né a voce, né tantomeno attraverso il web, poiché si tratta di una conoscenza che travalica la semplice nozione, trasformandosi lentamente in una consapevolezza nuova di sé e del mondo circostante. Voglio ricordare che la parte di viaggio è alla fine solo una delle tre parti del progetto. Il prima, quando da una semplice idea si è dovuti passare ai fatti raccogliendo i fondi necessari, e il dopo, ossia la fase della rielaborazione di tutto il materiale accumulato in tre mesi e mezzo, sono stati anch’essi un momento di prova in cui ho potuto imparare molto da me stesso e da ciò che stavo facendo.
UNESCO IN BICI È ONLINE: Il progetto è ora visibile all’indirizzo www.unescoinbici.it. A un anno e mezzo dalla fine del viaggio, è possibile ripercorrere tutti i nostri itinerari leggendo il diario di viaggio di Samuele, osservando le oltre 1000 foto pubblicate sulla nostra galleria e gli oltre 80 video che raccontano le nostre giornate e i siti visitati. Non solo. È possibile anche rivivere le tappe in bici grazie alle tracce GPS registrate dai ciclisti e sorvolare a volo d’angelo l’intero percorso da noi effettuato con i tour virtuali di google earth.
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UNESCO IN BICI è un progetto creato e realizzato quasi interamente da ragazzi sotto i trent’anni di età. Ha richiesto la partecipazione e la collaborazione di molte persone, sia coloro i quali hanno preso parte all’avventura, sia quelli che hanno prestato il loro aiuto nella fase di preparazione o in quella successiva di rielaborazione del materiale. Da questo insieme di menti diverse è nata un’iniziativa che crede fortemente nel potenziale che l’Italia possiede e che non è ancora sfruttato al massimo e nel modo più opportuno, in un approccio più pulito e sostenibile alle risorse culturali e naturali e in un modo nuovo di proporre un’esperienza di viaggio, nell’intenzione di offrire a questo modello un contributo originale sia nei contenuti, che nella forma.
Alessandro Cristofoletti, dopo la laurea in Beni Culturali presso l’università di Trento, si è dedicato al campo degli audiovisivi. Con il cortometraggio Natural Coprofagy ho partecipato al 55° Filmfestival della Montagna di Trento nel 2007 – Sezione giovani, e alla mostra d’arte contemporanea “Human and Nature”, a Madonna di Campiglio nell’agosto 2008. Il suo documentario “Esco a fare 46 passi” è stato in concorso allo Sportfilmfestival di Palermo edizione 2009. Da sempre appassionato di sport e natura, nel 2010 ha ideato, organizzato e coordinato il progetto UNESCO in bici. Nell’autunno 2011 ha fatto da assistente alla regia per due produzioni che hanno girato in Trentino. La fiction della RAI “Sposami” e l’ultimo lavoro di Michele Placido “Itaker”.