
17 Jul 2012, Posted by rachele in 72ore,Destinazioni,Guide,Viaggi, 6 Comments. Tagged 72ore, stoccolma, Svezia
72 ore a Stoccolma (con i Pearl Jam)
Prima di arrivarci con un aereo alle 11 di un giovedì sera, Stoccolma è nella mia mente due sole cose: la città che ospiterà il mio terzo concerto dei Pearl Jam e la città in cui una mia amica – colei che mi ha reso ospitale e familiare Copenhagen – ha deciso di trasferirsi, complice uno svedese che l’ha conquistata. 72 ore dopo, sull’aereo che mi riporta a casa, Stoccolma è ancora la città in cui ho visto il mio terzo concerto dei Pearl Jam e una nuova casa per A., ma è anche un nuovo angolo d’Europa di cui ho imparato la rete metropolitana, gli orari di chiusura dei locali e le abitudini alimentari.
L’atterraggio Ryanair all’aeroporto Skavsta di Nyköping anziché al ben più centrale Arlanda si trasforma da ‘contro’ a ‘pro’ negli 80 minuti di viaggio che trascorriamo seduti sui sedili dell’autobus Flygbussarna diretto alla stazione centrale di Stoccolma. 80 minuti per raggiungere il centro di una città sono tanti, specialmente dopo 2 ore di volo e 40 minuti di autobus per arrivare a Orio al Serio dalla Stazione Centrale di Milano. Eppure, in quegli 80 minuti di notte ancora troppo pallida per chiamarla notte, un pezzo di Svezia ci scorre accanto con colori cupi, alberi immobili e una staticità che sa di attesa e calma. Alla stazione centrale ci sgranchiamo le gambe camminando fino all’hotel e fermandoci a mezzanotte inoltrata per kebab + birra a 10 euro a testa. Quando andiamo a letto, verso le due, il cielo sta cominciando a schiarisi. L’alba oggi è attesa per le 3.43.
PRIMO GIORNO: dopo una colazione a base di pane nero, marmellate, anguria, yogurt con frutti di bosco, succo di mele e caffè americano, ci fermiamo allo Stockholm Tourist Center di Vasagatan 14 (di fronte alla stazione centrale) per ritirare due Stockholm Card valide 48 ore. Offerteci dall’ufficio del turismo, le carte sono acquistabili anche dal pubblico (e online) e danno accesso per 1/2/3/5 giorni a 80 musei e ai mezzi pubblici della città, inclusi i traghetti. La nostra prima tappa è il Vasamuseet, in poche parole – perché poche ne vanno spese per non rovinare la meraviglia tutta bambina che ti assale all’ingresso – un vascello del 1600 recuperato sui fondali del mare e a cui è stato letteralmente costruito attorno un museo. Una volta esplorati ponti, scialuppe e alberi maestri, continuiamo la visita a tema marittimo con un giro all’Aquaria Water Museum che, però, si rivela un acquario troppo piccolo e adatto soprattutto ai bambini. Dopo essere arrivati al Vasamuseet dal centro con il bus 44, ritorniamo in centro con il tram 7, che ci lascia a pochi passi dall’Östermalms Saluhall, un mercato al coperto dove andiamo alla ricerca del panino perfetto, che mangiamo assieme a un succo di mele nella piazza di fronte. Ed è proprio il pane svedese ad attirare su di sè l’attenzione, a colpi di farine integrali e semi che rendono interessante qualsiasi farcitura.
Decisi a dedicare tutta la nostra seconda giornata a Södermalm, passiamo il pomeriggio attraversando il ponte che porta a Gamla Stan, la città vecchia. Superiamo il palazzo reale e ci lasciamo intrappolare tra le sue viette durante l’ora di punta turistica, quando ogni città europea diventa tristemente uguale alle altre. Ma basta aspettare le 5, quando i negozi di souvenir sono ormai quasi chiusi, per trovare spazio ai tavoli traballanti del KaffeKoppen in Köpmangatan 24, ordinare un cinnamon roll e una fetta di torta al cioccolato e riprendere possesso della piazza assistendo ai giochi di un artista di strada.
La sera la passiamo a casa di A., dove il suo compagno e un amico svedese ci conducono alla scoperta della loro versione della New Nordic Cuisine, ovvero il Regular Ordinary Swedish Meal Time, mentre mangiamo curry indiano e gelato americano accompagnati da porto portoghese.
Il video, parte di una serie che include anche un inquietante ed esilarante speciale natalizio, è ispirato all’americano Epic Meal Time, ma vede i protagonisti alle prese con luoghi comuni svedesi: la furia vichinga. E la maionese a cucchiaiate. Torniamo in hotel sazi e culturalmente arricchiti alle 2 di notte. L’alba oggi è attesa alle 3.45.
SECONDO GIORNO: dopo un’altra colazione a base di anguria e yogurt, dedichiamo la seconda giornata a Södermalm, ovvero il quartiere a sud di Gamla Stan che tutti gli articoli letti in aereo segnalano come la nuova meta hipster. Di hipster, però, non ne vediamo tanti – mai come a Brooklyn o a Kreuzberg. Ci troviamo piuttosto circondati da un quantitativo spropositato di mamme e bambini in monopattino. Dopo la fermata d’obbligo a Fotografiska, il museo di fotografia della città con vista sul canale, libreria specializzata e mostre che valgono tutto il biglietto, percorriamo rigorosamente a caso il quartiere fino a Louie Louie, un bar, ristorante e negozio di dischi che passa musica rockabilly e offre pranzi a un prezzo ancora dignitoso. Per 180 corone svedesi (21 euro) ordiniamo un panino vegetariano all’hummus, 2 birre e un’insalata vegetariana con hummus, bulgur e anguria. A quattro passi da Louie Louie, sull’angolo tra Bondegatan e Södermannagatan, facciamo tappa da Coctail e da Grandpa, ma non ci fermiamo troppo. Per il bene del nostro portafoglio. Ci concediamo invece di girare a caso tra i sentieri del parco Vita Bergen, dove fan dei Pearl Jam ben più seri di noi ripassano le canzoni della band con uno stereo, una bandiera e un picnic.
Alle 18 prendiamo la metro per l’Ericsson Globe, l’arena a forma sferica dove i Pearl Jam tornano a 12 anni di distanza dal loro ultimo concerto svedese. L’organizzazione è impeccabile: non facciamo fila e anche in platea, quando il concerto inizia, la security è così attenta che nessuno rischia di farsi male investito dall’entusiasmo e dal pogo svedese. Per parlare del concerto dei Pearl Jam ci vorrebbe un articolo a parte: un articolo a parte sulla forza salvifica della musica, sulla coerenza e sulla coesione della scaletta, sulle 6 bottiglie di vino di Eddie Vedder e sulla maestria di Mike McCready alla chitarra, su Small Town canzone di apertura e su Better Things dei Kinks come dose quotidiana di ottimismo. Usciti dal Globe, iniziamo un pellegrinaggio alla ricerca dell’ultima birra della serata, che troviamo in un pub simil-irlandese nel cuore di Gamla Stan. Torniamo in hotel alle 3. L’alba oggi è attesa alle 3.46.
TERZO GIORNO: per far le cose semplici – ed evitare la sempre amatissima anguria a colazione – ci lasciamo portare dalla mia amica A. e dal suo fidanzato nel loro locale preferito per il brunch domenicale. È il bar di un teatro, il Södra Teatern in Mosebacke torg. Anche qui la musica è decisamente vintage, con pezzi jazz e swing, e il brunch – nonostante costi circa 30 euro a persona – include un buffet infinito di piatti caldi, freddi, dolci e salati con un tavolo a parte per i dessert, zuccherati e a rischio stucchevolezza come solo i nordici sono in grado di sfornarne. Buffet a parte, il bar si affaccia sui canali, è arredato sui toni del bianco e assomiglia a una piccola oasi di tranquillità tra le vie di una città all’apparenza rilassata, ma sempre in movimento. L’ultima fermata è alla stazione centrale, dove prendiamo l’Arlanda Express per l’Arlanda Airport. Oggi l’alba è attesa per le 3.48, ma noi non saremo tra le strade di Stoccolma con il naso all’insù, stupiti da quel cielo che non sembra mai volersi spegnere.
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La foto in alto e in homepage è stata scattata da Let Ideas Compete a Stoccolma.
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