Dopo sei mesi in bicicletta attraverso Bosnia, Turchia e Kurdistan Francesco è arrivato in Iran. Ha attraversato un deserto, ha visto città meravigliose e ce lo racconta nel nuovo capitolo del suo viaggio verso Oriente.

“Sono felice di averti incontrato, non avevo mai parlato con uno straniero prima” mi dice Amir, studente di ingegneria ventenne, nel suo perfetto inglese. La cosa all’inizio mi stupisce, ma ripensandoci è abbastanza normale: son davvero pochi gli stranieri che passano per Kashmar, città iraniana di 80.000 abitanti circondata da montagne e deserto. Anch’io non pensavo di fermarmi, l’idea era di piantare la tenda nelle montagne subito fuori città e poi, al mattino, affrontare la salita. Ho finito per passarci due notti ed è stata una delle più belle esperienze dei miei due mesi in Iran, una piacevole pausa dalla routine dei giorni precedenti, passati ad attraversare il Dasht e Kavir, uno dei due deserti iraniani.

A me pedalare piace, mi piace trovare il giusto ritmo e perdermi in un flusso di pensieri, ricordi, programmi per il futuro, ogni tanto rinuncio anche a scattare una foto se questo significa fermarmi e perdere il ritmo (e spero che i fotografi veri a questo punto continuino a leggere comunque). Ogni tanto penso che pedalare a lungo sia un po’ come leggere un libro: ci devi fare l’abitudine, non inizi con letture lunghe e pesanti ed in entrambi i casi è difficile spiegare perché passi lunghe ore immerso in un libro od in sella ad una bicicletta. E poi ci sono i giorni di pausa, passati al fresco del cortile di un ostello ad ascoltare storie di viaggi di altre persone, o a casa di Couchsurfer, o a visitare nuovi posti (e insisto nel dire che Yazd è una delle città più belle visitate sinora). Ma i giorni di pausa migliori sono quelli inaspettati, quelli in cui pensavi di pedalare ed invece, a causa di un incontro casuale, ti ritrovi da tutt’altra parte, spesso in mezzo a persone curiose di ascoltare la storia del tuo viaggio e che hanno anche loro le loro storie interessanti da raccontare. Ogni tanto penso che sarebbe bello cercare di organizzare questo tipo di esperienze in anticipo, pianificare incontri con persone in certe città, ma spesso è anche la spontaneità di questi incontri che li rende speciali: c’è una bella differenza tra il sapere che il giorno successivo incontrerai, ad esempio, un altro ciclista, ed incontrarlo in maniera inaspettata, in una stradina secondaria in mezzo al nulla.

E quando sono entrato a Kashmar certo non mi aspettavo di passare la giornata successiva ospite di un medico, in compagnia del figlio, Amir, che, in un solo giorno, mi ha portato a visitare l’ambulatorio del padre, dove infermiere velate hanno allestito un piccolo banchetto di frutta in nostro onore; una scuola materna, credo l’unico posto pubblico in Iran in cui bambini e bambine possono mischiarsi e giocare insieme, e soprattutto l’istituto di inglese in cui studia, dove ho passato un intero pomeriggio, chiacchierando con i vari insegnanti, stimolando la curiosità dei bambini, titubanti ed insicuri all’inizio, irrefrenabili alla fine, rispondendo alle loro domande. Ogni insegnante aveva la sua storia da raccontare: dalla ragazza che aveva smesso di studiare fisica per diventare insegnante di inglese e che, chiedendomi cosa ne pensavo delle donne iraniane, si lamentava delle poche libertà e dell’obbligo di vestire il velo, all’insegnante che mi raccontava dei ciclisti che erano passati per la città negli anni precedenti e che mi spiegava che l’iniziale timidezza dei bambini era dovuta al fatto che anche loro non avevano mai parlato con uno straniero prima. Ma il personaggio più interessante di tutti era senza dubbio Reza, il fondatore dell’istituto, 8 anni passati in Afghanistan a lavorare per l’ONU – “Una volta in aereo ero seduto vicino ad un lavoratore dell’ONU che mi ha proposto di lavorare come traduttore per loro in Afghanistan, ero stufo di insegnare ed in un mese mi
sono trasferito”-, fonte inesauribile di aneddoti su ogni cosa e parlata sciolta, mi racconta di come, a causa dell’inflazione causata dalle sanzioni hanno dovuto triplicare i prezzi della scuola, delle sue difficoltà a lavorare con ritmi e stili di lavoro occidentali – “Erano tutti così formali e poco amichevoli durante il lavoro e poi, subito fuori dal lavoro, mi invitavano a bere e sembravano i miei migliori amici. Dopo sei mesi mi son fatto trasferire in una casa del consolato iraniano, non ce la facevo più” – e dei suoi viaggi in Europa. E la sera una bellissima cena, consumata rigorosamente per terra nel soggiorno dell’elegante casa del medico, con ospite la famiglia di un collega infermiere, un’amicizia nata da poco grazie alla loro comune passione per la bicicletta; mi avevano incontrato ed invitato il giorno prima, proprio durante uno dei loro brevi giri in bici.

La mattina successiva è ora di ripartire, ognuno deve tornare alla sua quotidiana routine, Amir ha lezione all’università, il medico ha pazienti che lo aspettano ed io devo riprendere a pedalare; neanche i poliziotti in borghese che mi fermano lungo la salita fuori città e che dimostrano di sapere perfettamente cosa ho fatto nelle ultime 24 ore riescono a cancellare il bel ricordo che avrò di Kashmar, delle persone che ho incontrato e soprattutto delle loro storie.

Francesco Alaimo, 24 anni, originario di Bologna. Ho vissuto un po’ in Australia, un po’ a Trieste, un po’ a Monaco e un po’ nel grigio Leiceistershire inglese. Sono appassionato soprattutto di bici e letteratura americana. Ho trascorso l’ultimo anno a preparare panini da Burger King e a laurearmi in fisica teorica. Poi, a Novembre, ho preso la mia bici e ho iniziato a pedalare verso Est.