È solo alla fine del nostro weekend ad Anversa che andiamo involontariamente a sbattere contro il centro storico della città. Involontariamente perché, usciti dal FoMu – il museo di fotografia – e diretti a uno dei ristoranti consigliati da Spotted By Locals, tagliamo per caso la piazza principale, incappando in una schiera di turisti domenicali con in mano waffles, frites e cioccolatini. La loro Anversa non coincide con la nostra. La nostra Anversa non ha un centro storico, non sa di patatine fritte e non indossa diamanti preziosi o capi firmati.
La nostra Anversa, quella che mi porto a casa con una sensazione di meraviglia mista ad attesa per la prossima volta che ci tornerò, è metaforicamente racchiusa nella ex gru navale che le autorità portuali della città hanno consegnato al collettivo artistico belga TimeCircus che, a sua volta, l’ha trasformata in un miracolo di restauro sostenibile post-industriale: una casa galleggiante (con tanto di mini pontile in legno) su cui salire per bere qualcosa al bancone del bar, camminare tra piantine di basilico, erbe aromatiche, porri e zucche, osservare qualche gallina fare le uova, lasciar correre da un lato all’altro della struttura in metallo arrugginito i bambini, arrampicarvi in uno degli alveari adibiti a camera da letto (15 euro a notte, 20 con la colazione) o scambiare quattro chiacchiere con un cameriere francese dall’aria piratesca e dai capelli raccolti in un turbante rigato. Nato con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico sui temi del giardinaggio urbano e dell’ecosostenibilità riportando in vita uno sgraziato rottame marittimo, il Welvaert Welton è uno spazio a cui mancano eleganza, grazia e fascino. Nonostante il suo essere così ingombrante, precario e arrugginito, trasporta in una dimensione che dà importanza allo spirito creativo delle persone e al riuso dei materiali, piuttosto che a un consumismo sempre più sfrenato e votato all’estetica.
La nostra Anversa è il pavimento in legno scuro e scricchiolante del teatro che ci ospita per le due notti che passiamo in città: è un teatro funzionante a tutti gli effetti, con bagni per il pubblico, luci per il palco, bar per i drink, pianoforte per la colonna sonora e persino una torcia per far strada agli spettatori nel buio dello spettacolo. Durante la stagione estiva Lot, la proprietaria, affitta lo spazio mentre la compagnia è in tour: chi preferisce uscire dalle solite camere d’albergo e dormire in mezzo a storie di teatranti, qui può trovare la sua casa.
La nostra Anversa è racchiusa in un orto botanico nascosto dietro il cancello di una via del centro: il Plantentuin ospita piante più o meno esotiche e due meravigliose serre di cui una interamente dedicata alle piante grasse. Qui passeggiamo incuriositi dalle piante e dalla musica classica che risuona lungo le pareti scrostate finché il giardiniere che si prende cura delle piante non ci ferma con un alt della mano, ci indica di seguirlo e ci mostra prima una pianta in fiore e poi una appena morta. Ci racconta di come le piante grasse possano vivere decenni per poi spegnersi e trasformarsi in involucri secchi. Ci lascia andare, dopo qualche minuto, e noi usciamo stupiti dalla delicatezza del suo racconto. Per strada – senza mai dimenticarci di gettare uno sguardo oltre i portoni aperti – parliamo della mia ostinazione nello scovare luoghi e locali insoliti, quelli che si definirebbero ‘fuori dai circuiti turistici’. Ultimamente mi sono chiesta il perché di questa necessità: cosa rende un bar locale migliore di Starbucks? Cosa rende un giardino galleggiante ricavato dal restauro di una gru meglio di un classico museo? Ci troviamo a concludere che a incuriosirci sono, più dei luoghi d’interesse standard, quelli che racchiudono progetti locali, come coffeelabs, nato dal collettivo idealabs, che – non a caso – sfoggia all’entrata del bar una lavagna su cui appuntare progetti e idee.
Anversa, in questo senso, è una città tanto stimolante da ricordare in piccolo Berlino. Prima di partire ho compilato una lista di cose da vedere che includeva biblioteche ricavate da fabbriche, cinema indipendenti ed ex chiese trasformate in centri dove ballare lo swing: non sono riuscita a vederli tutti, questi posti, ma camminando senza una meta definita ci siamo imbattuti in parate navali, bar con lavanderie e mercatini di giovani designer locali: esplosioni di creatività in un tessuto urbano in bilico tra la raffinatezza dell’architettura seicentesca e la brutalità delle strutture portuali. Un costante senso di meraviglia ha accompagnato il mio weekend in città. Una meraviglia che è stata possibile perché, dopo averli letti, ho volutamente ignorato i consigli dei blogger di viaggio italiani: niente shopping, se non per comprare una guida alternativa alla Lonely Planet da aggiungere alla mia collezione di guide atipiche.
E, soprattutto, niente waffle, niente patatine fritte, niente cioccolatini gourmet e niente cucina belga: ci siamo seduti ai tavoli spartani del ristorante cinese Fong Mei per assaggiare quelli che sono considerati tra i dim sum più buoni del paese, e ci siamo fatti conquistare dalla gentilezza impacciata del nostro cameriere. Da Barnini, abbiamo bevuto due ottimi cappuccini, accompagnati da yogurt e bagel, di fronte a noi la piazza che ogni domenica ospita il Vogelenmarkt, mercato una volta dedicato alla compravendita di volatili e altri animali. Abbiamo bevuto birra – questa belga, sì – nel pub del quartier generale della comunità gay e lesbica di Antwerp, seduti su panchine ricavate da pallet e circondati da sabbia, secchielli e palette. E abbiamo addentato una mela a testa con il naso all’insù, appena scesi dal treno, estasiati da una delle stazioni centrali più imponenti e affascinanti d’Europa.
Siamo ripartiti domenica pomeriggio, dopo aver chiuso a chiave il portone del ‘nostro’ teatro, attraversato la città in tram, sbirciato oltre il cancello dello zoo e dopo esserci ripromessi di tornare. O, quantomeno, di continuare ad andare. Nella stessa direzione che ci ha portati, in un weekend qualunque di settembre, ad Anversa.
Coordinate: è possibile raggiungere Anversa dalla stazione di Bruxelles (nord) con un viaggio di circa 40 minuti. Dall’Italia ci sono voli per Bruxelles Charleroi, collegato a sua volta alla stazione dei treni di Charleroi, da cui parte un treno ogni ora (circa) per Anversa. Una volta arrivati in città, è possibile muoversi quasi sempre a piedi, altrimenti la scelta obbligata sono i suoi tram bianchi. Noi abbiamo dormito in un teatro, affittato via airbnb, e ci siamo trovati a dir poco molto bene. Per la scelta delle cose da fare e da vedere, ecco una bibliografia ragionata:
- This Is Antwerp > sito + app gratuita
- Spotted By Locals > un classico con consigli di gente del posto
- The Word > magazine ben fatto, dedicato al Belgio
- Use-It > sito dedicato al Belgio, per Antwerp hanno guide gratis stampabili simili alle nostre Guide Piccole
- Antwerp for Free > segnala eventi/mercatini gratuiti della settimana
- Antwerpen Streetstyle > raccolta utile e ben fatta di indirizzi da annotare
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La foto in alto e in copertina è stata scattata ad Anversa (dal museo MAS) da Marteen Thewissen.