Le assi di buona qualità e posizionate ad arte avevano conosciuto troppo intimamente la neve per poter mantenere la loro tempra, il legno in alcuni punti si era deformato in smorfie tali che sembrava volesse urlare. Il vento dal canto suo trovava sempre nuovi passaggi per scacciare il calore della stufa. L’umidità da giorni tormentava le sue articolazioni, era stato bene nel sud Italia ma adesso gli sembrava di essere tornato alla sua guarnigione di Metz. Déodat, stanco dei troppi viaggi, aveva quasi finito la lettera per l’amico Nicolas-Théodore, ancora poche annotazioni, la chiusa e infine il messo della posta sarebbe passato a ritirare il pacco.

A fine estate arriviamo ai piedi della Tofana di Rozes con i pochi risparmi dell’anno e con qualche ambizione. Vorremo arrampicare sulla via Di Bona della Torre Grande del Falzarego per poi dedicarci a qualcosa di più semplice come la via normale sulla Torre Inglese delle 5 Torri.

Dormiamo al rifugio Di Bona e la presenza della Tofana sopra di noi è un monito costante, al mattino siamo alla base della Torre Grande.

Nicolas-Théodore de Saussure ha una predisposizione particolare per la roccia, suo padre Horace-Bénédict è stato un alpinista prima ancora che esistesse il concetto stesso di alpinismo, quando la montagna non era che lo sfondo opprimente della vita rurale che scorreva ai suoi piedi. Horace aveva iniziato a studiare la geologia delle Alpi fino a rimanere stregato dal Mont Maudit, questo era il nome del Monte Bianco ancora nel ‘700.  Il suo accanimento lo porterà dopo vari tentativi al successo, utilizzando ben 17 portatori così da poter installare un campo per le osservazioni scientifiche. Da quel momento non smetterà di scalare per oltre 20 anni.

Déodat si soffermò a osservare la manica azzurra della giacca, i bottoni opachi sarebbero stati da lucidare e il panno andava spazzolato, pazienza, sarebbe rimasto ancora pochi giorni.  Accomodò il bavero, richiuse il pacchetto e, indugiando con la mano, si chiese se avesse davvero senso scomodare un’autorità del genere per un semplice pezzetto di roccia. La sua competenza in geologia lo spingeva a pensare che si trattasse di un calcare ma, a contatto con l’acido cloridrico, non scaturiva la consueta schiuma effervescente, era sempre capitato ma questa volta no, questa volta si trattava evidentemente di qualcosa di diverso.

La risposta da Ginevra non tardò, Nicolas-Théodore davvero trovò la pietra insolita e anzi sconosciuta. In linea con i costumi dell’epoca. propose di darle il nome del suo scopritore: Dolomieu.

Passeranno ancora tantissimi anni prima che le Lavaredo, il Giau o l’Averau diventino le Dolomiti, succederà solo dopo la Grande Guerra e con l’unificazione del Paese. Il nostro Déodat non può neppure immaginare che tra lui e le Dolomiti l’Europa si è contorta e distesa più volte, tra quelle montagne le cicatrici delle trincee raccontano proprio questa storia.

Déodat scomparirà poco dopo travolto dal vortice napoleonico, ma le Dolomiti avranno tutto il tempo di indugiare torve sulle armate italiane impegnate nel vano tentativo di controllare gli austriaci durante la prima guerra mondiale. L’assalto al cielo si trasformerà nella ritirata dal Cadore.

Nell’inverno, quando per noi inizia un corteggiamento a distanza della parete, avevamo pensato molto alla dolomia, ma ora a qualche cm dal suo calcare, la scopriamo sconosciuta e scostante. Fredda, pallida e friabile, ci obbliga a un movimento lento e privo della consueta fluidità.

Le continue esplorazioni delle dita e il controllo ripetuto della posizione dei piedi sgretolano la nostra fiducia. La Via Di Bona ha uno sviluppo di circa 390 metri,  come tutte le vie alpine si affronta suddividendola in parti, queste sezioni sono dette tiri di corda. Abbiamo già scalato 3 degli 11 tiri quando le sensazioni migliorano, la parete si fa più calda e lentamente il nostro movimento impara a tradurre la roccia.  Sfortunatamente, però, il grado della parete aumenta e la nostra fatica lo segue in maniera esponenziale, alla fine del 6° tiro siamo letteralmente sfiniti. E’ questo quel momento dove cominci a sentire che la tua mente non può gestire la totalità della parete, è come se la sua enormità premesse sulle tue debolezze. Ci concentriamo sul traverso del 7° tiro, è un traverso aereo, questo significa che bisogna muoversi in orizzontale, le braccia stese verso l’alto e il vento che ci sbeffeggia.

I tiri successivi non posso raccontarli perché a quel punto abbiamo dovuto abbandonare, la stanchezza ci ha vinti e così, dalla sosta dell’8° tiro e dopo circa 5 ore, abbiamo dato inizio al carosello delle corde doppie per scendere fino alla base, con noi solo i curiosi picchi muraioli.

Di Bona insieme a De Stefani salì per la prima volta sulla Torre Grande del Falzarego il 3 settembre 1934, con un equipaggiamento a cui noi non ci affideremmo neppure per andare in ufficio, dobbiamo accettare il verdetto: questa volta la nostra ambizione è stata superiore alle nostre capacità.

L’indomani sulla ben più modesta via normale della Torre Inglese potremo goderci il panorama dalla cima. La vista della Croda da Lago riporta la mente al  famoso dipinto di Buzzati, dove un Duomo di Milano dolomitico domina una piazza di pascoli verdi, come a suggerire l’amore delle maestranze per queste montagne tanto da replicare in architettura la straordinaria ebbrezza verticale delle Dolomiti.

Coordinate:

  • Cinque Torri 46° 30′ 36.58″ N   12° 37.43″ E
  • Falzarego 46° 31′ 8.04″ N   12° 0′ 33.84″ E

Guide: Arrampicare a Cortina d’Ampezzo e dintorni, Bernardi Mauro, ed. Athesia (i più tecnici possono trovare qui una eccellente descrizione tecnica della via).

Note: Rifugio Angelo Dibona – Vallon Tofana, 32043 Cortina d’Ampezzo Belluno, tel: 0436 860294

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Testo e foto di Gian Luca Gagino: 31 anni, nato a Genova vivo, nonostante tutto, a Milano. Ho deciso di dare una chance ad almeno uno di quei tanti buoni propositi che mi vengono in mente mentre viaggio. Il mio flickr lo trovate qui.