5 precetti
- Non uccidere alcun essere vivente
- Astieniti dai piaceri carnali
- Non rubare
- Non mentire
- Non assumere sostanze intossicanti
Questi precetti, a cui se ne possono aggiungere altri, costituiscono il primo insegnamento di Buddha, quello Morale. E’ difficile raggiungere il secondo degli insegnamenti di Buddha, connesso alla Concentrazione, senza condurre una vita secondo questi precetti. Questo secondo insegnamento è necessario alla meditazione e rende possibile la lucidità mentale temporanea. Solo il terzo insegnamento, però, la Saggezza, porta alla lucidità mentale perpetua. La maggior parte degli uomini quindi non ha nemmeno cominciato la via alla cessazione della sofferenza. Ma è davvero necessario abbandonare il corpo e sconfiggere la sofferenza? O è forse solo un suggerimento, frutto di un insegnamento antico?
Pa-Auk Meditation Centre
Il letto non è che un pezzo di legno con una stuoia sopra. Il materasso non c’è, perché, per chi non lo sapesse, tra le altre cose Buddha ha rifiutato letti comodi e sedute lussuose, come il più integralista dei viaggiatori zaino in spalla. Le zone in cui mi trovo, però, nei pressi di Mawlamyine nel Sud del Myanmar, sono famose da secoli per il mercato del legno, del Teak. Quindi, anche se il letto è solo un pezzo di legno, almeno è di alta qualità.
La sveglia nel monastero è alle 3 e 30, quando ancora mancano ore al sorgere del sole. Il gong è una sveglia affascinante: è formato da due parti, quella che produce il suono più acuto sta alla base della collina e dialoga con l’altra parte, sulla cima. Questa seconda parte è costituita dal tronco svuotato di un grande albero, che battuto con un bastone, produce un suono sordo e profondo. Con questi si chiama alla sveglia, alla meditazione e ai pasti. La mattina del primo giorno, al bel suono del gong, si accompagna il battere incessante della pioggia. Non si fermerà per i due giorni successivi.
Il primo pasto si tiene intorno alle 5 e 30. Prima di vedersi servire l’ottimo cibo vegetariano, riso e verdure, oppure zuppa di vermicelli (fini noodles di riso), si deve attendere che tutti e 500 i monaci siano stati serviti. Nell’attesa, questi passano di fronte ai laici che vivono nel monastero che li accolgono a occhi bassi in fila, mostrando deferenza, le mani giunte al petto. All’ingresso delle sale della mensa ogni monaco offre la propria scodella a un laico, che poi la restituisce, in un gesto che sta a significare come questa non sia che un’offerta e non rappresenti proprietà: perché il monaco non possiede niente e vive di benevolenza altrui. I molti monaci stranieri, occidentali e asiatici, vengono serviti per primi, in segno di rispetto per il viaggio intrapreso fino a qui. Fa sorridere quindi vedere alla testa di questi 500 commensali alcuni tedeschi, o ragazzi dell’Est Europa, ormai quasi mimetizzati fra le tante tuniche e teste rasate, con solo i peli sulle gambe a tradire la loro origine.
Le ore del pasto, in cui ci si attiene al Nobile Silenzio, per me non si sono rivelate particolarmente piacevoli, per quanto parlare non sia vietato. Non è il silenzio il problema, ma il fatto che questo è il momento in cui ci si incontra faccia a faccia, in un ambiente ristretto, con la totalità dei monaci. Vista l’essenziale solitudine della vita monastica, dato che secondo Buddha il percorso verso l’illuminazione è un percorso solitario, in generale è buona norma evitare di avvicinare i monaci. Questi sono solitamente molto disponibili e ci si può sempre attendere il loro aiuto. Al contempo, però, si cerca di evitare il contatto visivo e ancora di più lo scambio di parole, a meno che non siano loro a farlo per primi, dato che potrebbero sempre trovarsi immersi in meditazione, anche quando camminano, o mangiano. Questo clima genera in me una sorta di stato di repressione che influenza il senso di calma e bontà verso il prossimo che comunque i monaci trasmettono. In alcuni casi poi, certi monaci richiedono un atteggiamento di deferenza, come fosse loro dovuto e non offerto dagli ospiti laici, rendendo la cosa più difficile. Perché anche la deferenza è un’offerta, o almeno tale dovrebbe essere.
Nel monastero finisco per sentirmi al contempo un estraneo e parte della comunità. Da una parte quando in fila per la raccolta del cibo, che si svolge in stile catena di montaggio, dal riso ai dolci, mi cade la tazza per il tè e una delle addette alla distribuzione si china per aiutarmi, vedo una monaca voltarsi con sguardo severo e fare cenno a questa di fermarsi, come se non avesse dovuto aiutare me che non sono monaco. D’altra parte, durante una seduta di meditazione, sento un leggero tocco alla schiena e, aprendo gli occhi, mi rendo conto che qualcuno mi ha appena avvolto in una delle piccole zanzariere a tenda usate dai monaci. Sono due piccoli gesti. Niente di importante. Però tanto uno fa sentire parte di qualcosa, tanto l’altro fa sentire fuori posto.
Il monastero si divide in palazzi e piccoli bungalow sparsi su una collina coperta da una fitta foresta tagliata da un ruscello: gli scoiattoli mangiano nelle ciotole appositamente riempite e scendono fino ai piedi dei monaci, che osservano gli uccelli sugli alberi, camminano a piedi scalzi, o giocano con i cani. La pioggia ha acceso il verde delle foglie quanto e più della luce del sole. E obbliga i monaci a ripararsi con grandi ombrelli, i cui colori si intonano al porpora delle loro tonache.
Un ragazzo francese di 22 anni, monaco da 5 mesi, mi dice che questo monastero è ritenuto tra i più puri al mondo. Lo definisce l’Harvard dei monasteri con un sorriso orgoglioso. Il Buddismo in Myanmar, sostiene, è fra i più puri, ma qui in particolare l’insegnamento si rifà ai testi più antichi e alla dottrina più autentica. Il tipo di buddismo è Mahayana e, in particolare, la meditazione è insegnata secondo il metodo ana-pana, per cui ci si concentra esclusivamente sul respiro, focalizzandosi sulla punta del naso, o le narici. Cetin, ragazzo turco, sostiene di non aver trovato una differenza sostanziale rispetto ad altri luoghi e altre zone dell’Asia. Ha 29 anni ed è monaco da 10. Ogni anno va in un luogo differente, dall’India, alla Cina, al Nepal e così via.
Per quanto le opinioni sul luogo possano essere discordanti, non c’è dubbio che chi si trova qui ha deciso di dedicare la propria vita alla meditazione e al ritiro. È un luogo serio e seri possono essere i suoi abitanti, specialmente rispetto a molti altri monaci che si incontrano in giro per il Sud-Est asiatico con sigaretta alla mano, cellulare in pugno, o addirittura intenti a masticare betel-nut. In genere l’indole del monaco buddista è dolce, caritatevole e tollerante. Basta uno sguardo alle docce del monastero per capirlo, qui ragni e formiche trovano un luogo sicuro dove metter su casa: nessuno farà mai loro alcun male. Allo stesso tempo però la missione dei monaci è solitaria, silenziosa, lenta. Il contatto con loro è quindi quasi sempre minimo, specialmente per un laico.
Neanche a dirlo nella sala della meditazione il silenzio deve essere assoluto. Anche se, ironicamente, regna l’uso asiatico di non aver troppo ritegno nel liberare aria in eccesso nel corpo. Molte sono le teste ciondolanti per il sonno, che apparentemente “è rifugio naturale delle menti più deboli”, secondo il Maestro da cui ho ricevuto insegnamenti, chiamato Revata. Io ne sono un ottimo esempio e molti altri con me. Specialmente nel pomeriggio del primo giorno, dopo che con sorpresa la meditazione dell’alba era stata ispirata, la seduta è diventata una vera e propria lotta alla sonnolenza. E al dolore alle gambe, visto che l’abitudine all’uso delle sedie mette gli occidentali in grande svantaggio quando si tratta di incrociare le gambe per ore, inginocchiarsi sul collo dei piedi, o accovacciarsi tenendo la pianta dei piedi appoggiata a terra, posizione naturalissima per tutti gli orientali.
La sala della meditazione è un luogo splendido e il solo privilegio di accedervi vale ogni fatica e privazione. Più che una sala è un vero e proprio palazzo, in cima a una collina alla fine di una interminabile scalinata. Un colonnato segna l’ingresso a due piani enormi, grandi quasi quanto mezzo campo da calcio. Il piano inferiore è punteggiato da colonne a intervalli regolari per tutta la sua lunghezza ed è in linea con queste che i monaci siedono durante le sessioni di meditazione. Il piano superiore è invece aperto e ha un soffitto altissimo. Il pavimento in splendido legno scuro si affaccia su un balcone da cui si vede l’intera vallata fino al mare.
All’interno di queste stanze, durante la meditazione si crea come una sorta di foresta di zanzariere, costruite ad-hoc allo scopo di proteggere i monaci da mosche e zanzare. La scena ricorda gli stupa di Borobudur, sull’isola di Java, al cui interno siede un Buddha di pietra. Così da dietro si osservano centinaia di piccoli Buddha, con i loro stupa di tela forata. L’ingresso è emozionante. Si è accolti silenziosamente, ma con premura, e viene assegnato un posto a sedere, con cuscini e una zanzariera. I cuscini sotto il sedere sono fondamentali perché aiutano a mantenere la schiena eretta. Quando ci si trova bloccati, senza sapere che direzione prendere, o cosa l’etichetta richieda, arriva sempre un gesto, un tocco, uno sguardo. Qualcuno che ci osserva e ci viene in soccorso c’è sempre. I monaci sono seri e silenziosi, ma basta un nulla per far apparire nei loro volti assorti il più largo e caldo dei sorrisi.
Per quanto la gentilezza non manchi, è per me difficile trovare gioia in questa esperienza. La routine tanto inquadrata e la compagnia di queste persone a cui si deve tanta deferenza non aiutano a far sentire liberi e integrati. Un momento che imparo ad amare è quello che segue i pasti, quando tutti si alternano per lavare le proprie stoviglie. Se nella vita di tutti i giorni, fuori dai monasteri, si cerca di dar fine alle file il prima possibile e specialmente in Italia se ne fa quasi una questione di orgoglio nell’essere scaltri e rapidi abbastanza da approfittare di un posto libero quando questo ci si offre, qui è l’esatto opposto. C’è chi aspetta anche venti minuti buoni prima di arrivare a toccare l’acqua, facendo passare di fronte a sé più persone possibile. I monaci hanno la precedenza, come in ogni occasione, ma qui a tutti è offerta la possibilità di passare davanti. Per tutti c’è un posto libero, perché qui lo scopo non è lavare i propri (dannatissimi) piatti, ma quello di accumulare buone azioni! È un ciclo di gentilezza paradossale in cui vero obbiettivo e motivo di soddisfazione è far passare l’altro, ottenendone in cambio un sorriso e alimentando il proprio karma.
Il secondo giorno la mia meditazione migliora. Capisco quello che devo fare e riesco a gestire il respiro, vedere i pensieri arrivare e scacciarli almeno un poco. Ma non dura molto e mi porta poco lontano. Mi consente però almeno di iniziare a capire cosa queste persone siano in grado di fare. Gestire la concentrazione tanto da focalizzarla per minuti e poi ore. Una forza mentale straordinaria proveniente da sedute di meditazione che sono come un allenamento, come rendessero più forte un muscolo ed affinassero un’abilità. Il mio corpo sopporta meglio le posizioni e capisco che se continuassi così per giorni i miglioramenti sarebbero ulteriori.
Mi trovo però a questo punto di fronte alla scelta di voler dedicare la mia vita a questa attività o meno: la promessa di essere capace di vedere l’invisibile, come i fantasmi e gli esseri celesti, oppure le mie vite passate, non mi convince. E il fatto di avere così pochi giorni da dedicare a questa esperienza non aiuta a sgombrare la mente e, anzi, più il momento di rimettermi in cammino si avvicina più ne sono distratto. Inoltre, percepisco un senso di presunzione e di ambizione egoistica in questa attività. C’è la volontà di rendersi superiori che appare ai miei occhi come una deformazione del vero senso della meditazione. Buddha, per quel che ne capisco io, non ha insegnato la via della liberazione dai mali per rendere questi uomini capaci di possedere poteri sovrannaturali, come loro stessi li chiamano, o almeno non è questo il senso che piace a me vedere nelle sue parole.
I monaci sono esempio di una morale ferrea, che renderebbe indubbiamente la nostra una società più retta, amorevole e pacifica. Il vegetarianismo, il rispetto di ogni essere vivente, il distacco dai beni materiali, come dagli eventi quotidiani e dal proprio ego, sono tutti insegnamenti profondi di cui si dovrebbe fare tesoro. Al contempo, però, i monaci dedicano il loro tempo alla loro salvezza personale. La loro attività non reca alcun male agli altri tanto quanto, se non nell’esempio, reca alcun bene. È in un certo senso quasi una scelta più semplice rinchiudersi in se stessi, nella pace di questi ambienti ricchi, anche da un punto di vista economico.
Per concludere, una nota positiva: è bello sapere che il solo fatto di essere uomini è per il buddismo la più grande delle opportunità. Ci sono, sì, rinascite ancora migliori, ma la condizione umana è quella che offre la possibilità della comprensione, cioè di elevarsi al di sopra di un’esistenza esclusivamente corporea. È, quindi, una vita da non lasciare scappare.
Il Pa-Auk Meditation Centre si trova a 10 chilometri da Mawlamyine, nella lingua di terra a Sud-Est di Yangon. Chiunque è benvenuto se dichiara di impegnarsi nella meditazione e nel seguire le regole del luogo. Donne e uomini sono divisi in due distinte parti del monastero. L’accoglienza è gratuita, ma a propria descrizione può essere lasciata un’offerta.
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Lorenzo Dal Piaz, 28, nato e cresciuto a Firenze, dopo la laurea in filosofia lascia l’Italia. Fa tappa prima in Australia con un working holiday visa, poi trascorre due anni a Londra, dove frequenta un corso di giornalismo. Dai primi di marzo 2013 è in viaggio in Asia. Dopo aver visitato Indonesia, Malesia, Brunei, Thailandia, Cambogia, Vietnam e Myanmar è adesso in India.
Le foto pubblicate in questo articolo sono di Lorenzo Dal Piaz e Artur Farsian.