Abbiamo seguito Francesco lungo tutto il suo viaggio verso Oriente. É passato parecchio tempo e adesso che è tornato a casa gli abbiamo chiesto di raccontarci cosa è stato questo lungo, lunghissimo viaggio in bicicletta.
NBM: Qual è stata la motivazione che ti ha spinto a fare questo viaggio?
Francesco Alaimo: Mi è difficile parlare di una motivazione principale, mi piace di più pensare all’idea di questo viaggio come alla logica conclusione di un percorso personale. Un percorso iniziato probabilmente a 17 anni quando andai per 6 mesi a studiare in Australia e che è poi continuato con tanti altri piccoli episodi, incluso un viaggio di 5 settimane in Sud America.
Sicuramente dietro all’idea di partire c’era la voglia di andare un po’ all’avventura, vivere un’esperienza radicalmente diversa da quelle vissute di solite e portare all’estremo tutta una serie di comportamenti, come la solitudine e la mancanza di punti di riferimento. Una cosa che tengo a sottolineare è che non sono partito per scappare da qualcosa; ho scelto di partire non per fuggire da una società ed un mondo in cui non mi riconoscevo o per andare alla ricerca di un posto migliore, ma per il piacere stesso del viaggio e della scoperta, anche personale.
NBM: Qual è stata la cosa più difficile da affrontare? Il momento che ti ha messo più in crisi? Hai mai avuto paura?
FA: Momenti di reale paura ce ne sono stati davvero pochi, ma il principale me lo ricordo bene: fermo a bordo strada per una pausa a 2000 m nel Sud Est della Turchia, circondato da neve e montagne e lontano da ogni villaggio, ho visto scendere dalla montagna un branco di cani che puntava verso di me. Era una zona in cui i cani erano particolarmente aggressivi, quindi avevo sempre una scorta di sassi a portata di mano, ma in quel momento mi hanno colto talmente alla sprovvista e così lontano da ogni villaggio (all’inizio ho pensato fossero lupi) che sono rimasto praticamente paralizzato e completamente incapace di prendere i sassi che tenevo in tasca. Alla fine la situazione – tutto si sarà svolto in meno di 10 secondi – è stata risolta da una macchina che andava nell’altra direzione e che ha sterzato in maniera tale da mettersi di traverso tra me e i cani. Un momento difficile da affrontare è stato verso metà della Cina, dopo il deserto del Taklamakan e le montagne che segnano l’inizio dell’altopiano tibetano, quando mi son ritrovato a pedalare attraverso zone industrializzate, grigie e densamente popolate, dove trovare un posto per la tenda iniziava ad essere difficile. Anche gli spazi vuoti e i cieli blu che mi avevano accompagnato per i mesi precedenti erano scomparsi e, passato un anno di viaggio, iniziavo probabilmente ad essere stanco del continuo spostarmi. Dopo alcuni giorni trascorsi così, in cui pedalare non mi dava più le belle sensazioni di prima, ho deciso di fare un ultimo sforzo per coprire i 1000 chilometri abbondanti che mi separavano dal mare e finire il viaggio.
NBM: A cosa si pensa mentre si sale su per i tornanti di una catena montuosa tra le più alte del mondo? E in mezzo al deserto?
FA: Il bello di pedalare in mezzo ad un deserto è che ci sono talmente pochi punti di riferimento e distrazioni che la mente vaga indisturbata nei ricordi, tirando fuori episodi che si pensava di aver dimenticato da tempo. Se non c’è vento e si trova il ritmo giusto per pedalare è un grande piacere attraversare l’immenso nulla che si ha di fronte persi in ricordi che sembrano provenire da un altro mondo.
Le grandi catene montuose – il Pamir in Tajikistan e l’altopiano tibetano – possono essere simili, ma si deve aggiungere la fatica data dal pedalare in salita e dall’altitudine. Però i panorami che si vedono – laghi salati o immense praterie avvolte da montagne innevate – sono indimenticabili.
Sono comunque entrambi posti in cui la vita per un ciclista è estremamente semplice: si deve pensare solo a pedalare e a godersi l’esperienza, spesso il traffico è nullo e trovare un posto per la tenda non è quasi mai un problema.
NBM: Cosa hai visto che non avresti mai immaginato di vedere?
FA: In una città in Iran, una richiesta di informazioni ad un giovane militare, ha portato ad una lunghissima discussione sullo stato attuale delle cose nel paese e sul ruolo che ha la religione nelle questioni di stato. Nonostante sapessi da altri viaggiatori il malessere degli iraniani verso le continue restrizioni che vengono loro imposte, sono rimasto a bocca aperta quando ho sentito questo militare lamentarsi per il fatto di non potere indossare abiti civili e di dover sprecare il proprio tempo facendo il servizio militare obbligatorio. È poi passato a lamentarsi della religione, dichiarandosi convinto della necessità di separare stato e chiesa in Iran – “a noi è mancato l’Illuminismo, ma qualcuno è convinto che arriverà presto” – per concludere affermando senza esitazioni che l’Islam è la causa principale dei mali dell’Iran oggi.
Anche trovare una famiglia tajika che abita per tutto l’anno in una casa, senza animali e lontano da ogni villaggio, in un altipiano a 4000 m di altitudine mi ha sorpreso non poco. Al tempo ero con altri ciclisti e mi ricordo ancora il sorriso sorpreso di uno di loro quando ha visto spuntare una persona da quella casa che tutti consideravamo abbandonata.
NBM: Come è stato il rapporto con le persone, lungo il viaggio? Che domande ti facevano, come ti vedevano?
FA: Dal paesino in Veneto lungo il Piave in cui ho passato la prima notte in tenda – nel giardino di una famiglia che mi ha poi invitato per cena – sino ai villaggi vicino alla costa in Vietnam, la reazione delle persone è stata quasi sempre la stessa: stupore, curiosità ed ospitalità.
Un ciclista belga ha definito le domande che ci venivano inevitabilmente poste all’inizio di ogni discorso la Trinità del ciclista: ‘Di dove sei?’ ‘Da quanto tempo sei in viaggio?’ e ‘Quanti chilometri hai fatto?’. Fatte queste tre domande la conversazione poteva arenarsi o, specialmente se c’era una lingua in comune con cui poter comunicare, continuare addirittura sino al giorno successivo, come mi è successo a Kashmar in Iran.
NBM: Hai incontrato altri viaggiatori? Di cosa si parla quando ci si ritrova? Delle cose pratiche come dove trovare acqua e cibo o anche di cosa vi unisce per stare in quella parte del mondo con solo una bicicletta o a piedi?
FA: All’inizio del viaggio, complice l’inverno, non ho incontrato tanti altri viaggiatori, giusto qualcuno ad Istanbul. Una volta arrivato in Asia Centrale, che è un passaggio stretto ed obbligato per chi viaggia dall’Europa verso Est (o viceversa), ho iniziato a incontrare molti altri ciclisti per strada, specialmente in Tajikistan e in Kirghizistan. In Uzbekistan ho incontrato Guillaume, un ciclista francese che avevo già incontrato ad Istanbul, e abbiamo pedalato insieme per un mese, sino ad Osh.
Di cosa si parla dipende molto dalla persona che si ha di fronte e da dove ci si trova. Spesso all’inizio, per rompere il ghiaccio, si parla del proprio viaggio, di dove si è stati e del proprio stile di viaggio – lento o veloce, tenda o albergo e così via – una sorta di curriculum del viaggiatore. Solo in un secondo momento si parla delle motivazioni alla base del viaggio, delle proprie aspettative. Una cosa che ho notato è che si parla davvero poco di quello che si faceva prima di partire – che cosa si è studiato, che lavoro si faceva, … . In alcuni posti, come il Tajikistan o nei deserti, la prima cosa che si chiede invece è dov’è il prossimo villaggio dove si può trovare del cibo decente, tra quanti chilometri si può avere dell’acqua o quanto è faticoso il passo che sappiamo di dover affrontare a breve.
NBM: Dopo che uno fa un esperienza del genere, un viaggio così lungo e intenso, come si organizza? Quale sarà il prossimo passo?
FA: Sono tornato alla vita di tutti i giorni in maniera molto lenta. Ho visitato alcuni amici tra Francia e Germania prima di arrivare a Bologna, dove ho passato un mese di vacanza, senza fare quasi nulla. Solo ora, dopo quasi 3 mesi dal mio ritorno in Europa, torno a fare qualcosa che richiede un certo impegno: un dottorato a Dresda.
Per i prossimi tre anni dovrei dunque stabilirmi qui a Dresda, ma ho in mente alcuni viaggi brevi, in bici o a piedi. La ciclabile dell’Elba e una visita in Scandinavia sono due cose che potrei fare anche con pochi giorni a disposizione.
NBM: La prima sensazione una volta rientrato in italia? Come sono stati i primi giorni?
FA: Una delle cose più strane è stata poter bere di nuovo acqua del rubinetto. I primi giorni (anche settimane) sono stati un inevitabile ritorno alla vita di tutti i giorni, ritrovare tutti, raccontare del viaggio, rispondere a varie domande e ricevere complimenti, un po’ come dopo la propria laurea. Sinceramente non ho (ancora) avuto lo shock da ritorno, forse verrà, forse è dietro l’angolo che aspetta solo il momento migliore per palesarsi.
Comunque, dopo non essermi ammalato per oltre un anno di viaggio, dopo pochi giorni a Bologna mi sono preso la polmonite.
NBM: Un’ultima cosa tecnica: hai fatto un po’ di conti? di giorni, di kilometri, di paesi attraversati?
FA: Dopo un anno di viaggio ho dedicato un post a questo aspetto. Alla fine sono stato via 14 mesi, ho pedalato per 20000 km (stima molto approssimativa dal momento che non avevo con me un contachilometri) e ho attraversato 16 paesi. Il punto più alto del viaggio è stato il passo Akbaital in Tajikistan a 4650 m. La mia dieta giornaliera si aggirava attorno alle 6000 calorie. Mediamente i miei bagagli pesavano sui 30 kg, ma un giorno nel deserto del Taklamakan, con molto cibo, 15 litri d’acqua ed un cocomero devono avere toccato i 60 kg.
NBM: e la bicicletta come se la passa?
FA: ho letto questa domanda e ho riso. Ero appena rientrato dal balcone dove stavo facendo una drastica pulizia della bici. Sono tornato fuori e ho fatto questa foto (ora va un po’ meglio…)
Francesco Alaimo, 25 anni, originario di Bologna. Ho vissuto un po’ in Australia, un po’ a Trieste, un po’ a Monaco e un po’ nel grigio Leiceistershire inglese. Sono appassionato soprattutto di bici e letteratura americana. Ho trascorso un anno a preparare panini da Burger King, mentre mi laureavo in fisica teorica. Poi ho preso la mia bici e da Bologna ho iniziato a pedalare verso Est. Dopo oltre un anno e quasi 20000 km sono arrivato in Vietnam. Ora mi sono trasferito a Dresda, per un dottorato in matematica. Il suo sito ivegotabike.