Abbiamo visto Janapar: Love On A Bike al Trento Film Festival. E ci è piaciuto. Ecco perché.
2007: Tom Allen, ventitreenne inglese, web designer di professione, decide di mollare tutto e partire con due amici per un viaggio. Non un viaggio qualunque: il giro del mondo, in bicicletta (vi ricorda qualcosa?). Tom abbandona una carriera sicura nell’IT e parte, in compagnia di Mark e Andy, dirigendosi verso sud.
Nel film, le immagini che ci mostrano Tom prima della partenza sono poche: Tom nella sua camera, Tom in macchina che va al lavoro facendo dell’ironia sulla sua vita da impiegato, i pezzi delle bici che arrivano e vengono montati, la rasatura della testa con gli amici: goliardico rito d’iniziazione. Il film non lo racconta, ma possiamo immaginarci Tom in trepida attesa, il licenziamento, i preparativi della partenza, la stesura di un itinerario di massima. Poi i tre amici lasciano la loro città natale tra festeggiamenti di amici e parenti vari, in sella alle proprie bici. È una calda estate inglese.
Passano le settimane e i mesi attraverso l’Europa. Vediamo le immagini della strada scorrere sotto le ruote delle bici dei ragazzi, registrate dalla telecamera fissata al manubrio della bici. L’inverno si avvicina, scendono le temperature e tra i tre iniziano i primi screzi.
La distanza geografica dalla propria compagna fa tornare sui propri passi uno dei due amici. Rimangono in due a continuare il viaggio, ma ormai il loro rapporto si è deteriorato. Proseguono per qualche tempo insieme senza quasi parlarsi finché, ormai alle porte dell’Asia, si separano definitivamente. Un saluto appena accennato, una stretta di mano forzata, l’amico che si allontana e scompare dietro una curva, ripreso dalla telecamera di Tom.
Per Tom inizia un nuovo capitolo del viaggio: incontri, quotidianità, piccole scoperte. Nessun compagno di viaggio, oltre al rumore delle ruote sulla strada. Finiamo per dimenticarci delle “dimensioni” del viaggio di Tom. Le scelte di montaggio, l’onestà dei video, la spontaneità di Tom davanti alla telecamera, fatta di sorrisi e lunghi, intensi, silenzi, ci fanno scordare del suo viaggio “estremo”. Scompare l’atto eroico, l’impresa epica, la conquista di nuovi orizzonti.
Quello che rimane è Tom, essere umano fatto di carne ed emozioni, immerso nella quotidianità della vita in viaggio: Tom che mangia, Tom che spinge la bici, Tom che piange, Tom che si ammala, Tom dal medico che gli diagnostica la malaria, Tom che sorride e si rimette in viaggio. Ci dimentichiamo del fatto che Tom sta parlando, da solo, con una telecamera: le sue emozioni sono così sincere da farci sentire suoi confidenti. Quando parla, quando condivide i suoi sentimenti, ci guarda negli occhi, vorremmo rispondergli.
Da quando ha lasciato Yerevan in Armenia, però, Tom ha smesso di essere sereno. Lì ha conosciuto Tenny, studentessa iraniana di design all’università della capitale armena. L’ha dovuta salutare dopo qualche settimana insieme, ma non l’ha dimenticata. I suoi pensieri continuano a tornare a quei giorni passati con lei. Alla fine, ormai raggiunto lo Yemen grazie ad un passaggio dal Gibuti su una nave bestiame, dovrà fare una scelta: proseguire il suo viaggio verso oriente o tornare da Tenny per iniziare, insieme, un viaggio completamente nuovo?
Janapar – “sentiero, percorso, viaggio” in armeno – è una storia di incredibile umanità, capace di farci rivalutare l’importanza della dimensione personale e intima del viaggio, e di insegnarci ad inseguire il nostro istinto e abbandonare la strada maestra per seguire nuovi percorsi, per lasciarci sorprendere dalle conseguenze delle nostre scelte.
Potete seguire Tom sul suo blog tomsbiketrip.com o su Twitter: @tomsbiketrip.
A proposito: “Il viaggio è un grande veicolo di cambiamento personale, perché ci costringe a interagire con persone, culture e spazi che non ci sono familiari.” Leggete l’articolo di Rachele sulla differenza tra viaggiatori e turisti!