“Percorri una strada in macchina, e te ne fai un’idea. Poi la percorri in bici, e cambi idea” diceva niente meno che Eddy Merckx, il Cannibale del ciclismo. Vale lo stesso a piedi, mi verrebbe da aggiungere, e forse con qualsiasi altro mezzo ti permetta di perderti nel paesaggio, cogliere dettagli che la velocità non consente di annotare.
Di bici, Giri d’Italia e viaggi parla Enrico Brizzi, un “Girardengo appena più basso e rock”, nel suo ultimo libro, In piedi sui pedali, che si sviluppa, un capitolo dopo l’altro, attraverso le bici che hanno segnato il passare degli anni del protagonista.
C’è la prima, la Numero Uno appunto, con cui da bambino si esercita all’interno del cortile, sperando di togliere presto le rotelle, imparare il senso dell’equilibrio, e mettersi alla prova, fuori dai confini domestici, in gare con compagni di giochi o accompagnando la mamma in commissioni nel quartiere. Per il ragazzo che si farà, la bici diventa il mezzo per raggiungere prima l’amore, la musica delle ruote che frenano sulla ghiaia davanti alla casa di Aidi (sì, proprio lei, la protagonista femminile di Jack Frusciante è uscito dal gruppo), e poi i posti esotici di cui sognava dal metro e trenta delle elementari. Le prime uscite insieme al fratello Riccardo, seguendo il delta del Po, assediati da sciami di zanzare, e un viaggio lungo la ciclabile che asseconda, come un cane al guinzaglio, il dipanarsi del Danubio, superando confini e differenze linguistiche. Da lì, per Enrico Brizzi, la bici, che nel frattempo ha cambiato diversi modelli, da luccicanti americane con tre cambi a BMX per evoluzioni su strada, da leggeri mezzi dalle ruote lisce come serpenti a mountain bike dai pneumatici graffianti, diventa la compagna per portare a termine alcuni dei suoi lunghi pellegrinaggi, come la Via Francigena percorsa nel 2006, ma anche il modo per insegnare alle sue bimbe le stesse esperienze che anni prima era stato lui a vivere da protagonista.
Una specie di autobiografia su due ruote, che racconta la bici non come mezzo, ma attraverso le esperienze a cui è legata, e che inframezza aneddoti personali con la storia del ciclismo italiano, con le imprese di Moser, Saronni, Hinault per arrivare a quelle del Pirata Pantani e di Nibali, ultimo campione, insieme al sardo Aru, capace di infiammare le folle delle nostre montagne.
Ma il bello del ciclismo, sostengono in molti, è anche nel suo alto tasso di “democrazia”: tutti possono mettersi alla prova sulle stesse salite su cui sono sfrecciati, a velocità proibitive per ogni umano, i più grandi campioni di sempre, dai tempi di Coppi e Bartali fino ad oggi.
Il ciclo-amatore Giacomo Pellizzari ce lo racconta nel suo Ma chi te lo fa fare?. Un gruppo di amici, che in bici, dove contano solo sudore ed energia, perdono ogni tipo di differenza sociale, si mette alla prova su alcuni dei percorsi che hanno fatto la storia di questo sport. Il racconto parte da alcuni allenamenti nell’hinterland di Milano, le pedalate all’alba, prima di indossare camicia e cravatta per andare a lavorare, lungo il naviglio pavese, e poi si sposta su territori diversi, le montagne dell’Emilia e una filastrocca di passi delle Dolomiti, capaci di evocare ad ogni appassionato, praticante o meno che sia, una serie di ricordi indelebili: Campolongo, Pordoi e Giau. Percorsi di cento, o duecento chilometri, che ogni ciclo-amatore spera di poter annoverare nel suo personale palmares.
Il racconto di Pellizzari prende una forma ibrida, con tratti autobiografici, gli amici appunto, o la moglie e i figli che lo aspettano a casa e non capiscono perché si ostini, volontariamente, a fare tutta quella fatica, affiancati a ricordi sportivi e a resoconti tecnici delle salite, illustrate anche con cartografie essenziali, che ne segnalano lunghezza e dislivello. Non è una guida vera e propria, non ci sono informazioni pratiche su dove dormire o mangiare, su come raggiungere la partenza o che indumenti infilare in valigia, ma permette comunque, a chi vuole cimentarsi sulle stesse curve, di raccogliere informazioni pratiche, affiancate da racconti di esperienza diretta che lo rendono una lettura piacevole anche per chi al momento non ha ancora tempo, o intenzione, di sfidare certi giganti di pietra.
Paolo Bottiroli
la foto in copertina è di Teddy-rised, pubblicata su licenza CC.