(Quella che segue è una riflessione spesso piena di riferimenti a luoghi, fatti e persone, a volte difficilmente comprensibili se non siete nati nei pressi della via Emilia. Cercherò di inserire quante più spiegazioni possibili, laddove non ci riuscissi vi chiedo perdono sin da ora. NdA)

“Sono diventato emiliano nel marzo del 1999. Per quasi una decina d’anni il mio mondo è stato delimitato da Piazza Fiume, Reggio Emilia, a via Irnerio, Bologna. Io stavo nel mezzo, più o meno, al confine della provincia di Modena. In un giorno sono passato dal vivere in una piccola metropoli a una specie di condominio diffuso di 800 persone. La periferia della periferia.

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Ci ho pensato in questi giorni, in cui si è parlato di Esplorazioni della via Emilia, perchè in effetti per me che ero appena arrivato, era tutti i giorni un’esplorazione, ma con l’urgenza della quotidianità non ho preso granchè appunti, e devo andare a memoria. Da dove cominciare? Probabilmente dalla musica, perchè uno dei primi posti che mi ritrovai ad esplorare fu il Teatro Dadà di Castelfranco Emilia, con una esibizione dei Massimo Volume (da Bologna), uno dei gruppi che più ho amato in assoluto. Poi venne il VOX di Nonantola (Gotan Project, Belle & Sebastian, ecc.), il Covo e l’Estragon di Bologna (con i vari Broadcast, Laika, Moloko e Sterolab, per non parlare di Motorpsycho e Interpol, ecc.), i miei posti in assoluto più amati. Sono stato anche al Link, ma non l’ho mai digerito molto e ci ho passato le serate più lunghe e opprimenti della mia vita aspettando invano che il concerto cominciasse entro le 3 del mattino (maledetti Oval e Modest Mouse!). Uno dei posti più incredibil, però, era il Condor di Modena, dove vidi un Federico Fiumani in grande forma, lamentarsi per la poca luce che gli impediva di vedere il manico della sua chitarra. Non sapeva del passato dark del locale e della sua quindi scarsa propensione all’illuminazione! Era un periodo in cui scientificamente investivo in musica – all’epoca erano CD – in cui frequentavo le fiere del disco con un budget forzatamente contenuto, per non svenarmi di assurde edizioni limitate o dischi pieni di silenzio e ronzii (ne ho di entrambi i tipi comunque). L’Emilia era anche il posto delle grandi Feste, dove con festa si intendeva Festa dell’Unità. L’Emilia era il posto dove a Correggio poteva suonare Jeff Buckley, dove c’erano stati gli U2 dei tempi migliori. Io ero arrivato un po’ tardi, ma un grandioso set di Massive Attack ero riuscito a vederlo. Al Vox passavano tutti, nella struttura dove tutta la cittadinanza decenni prima aveva contribuito mattone dopo mattone a costruire un posto dove ballare, tutti i gruppi indie che cominciavano ad avere un po’ di successo. Ricordo una sera d’inverno con una nebbia talmente fitta che potevi mangiarla a manciate, io che guido a 20km/h lungo la stretta strada di campagna che taglia i campi in direzione Nonantola, per andare a vedere i Mogwai. E la strada fino alla stazione di Bologna, sull’autobus in pieno giugno, con le immagini che scorrono dal finestrino e nelle orecchie un forte accento reggiano che recita:

Ma io lo so chi è Mark Lanegan,
arrogante bottegaio
indegno della roba che vendi qui dentro,
alternativo dei miei coglioni
che quando io ascoltavo i Dead Kennedys
tu nemmeno ti facevi le pippe.

Per me che avevo lasciato Milano, era un’unica grande città diffusa, una specie di Los Angeles della pianura padana: Reggio Emilia come Inglewood, Modena come Downton, Bologna come Beverly Hills. In questa mega città padana, come in California, si era sempre in macchina e non c’era niente di più facile che mangiare tigelle a Montecorone per poi andare a sentire un concerto a Carpi. Ho vissuto per anni con un orizzonte disegnato dalla costante linearità est-ovest tracciata dalla via Emilia. Il continuo susseguirsi di auto e camion di giorno, i fari bianchi e rossi di notte e quei rari momenti di silenzio assoluto, come quando nevicò tantissimo e nessuno si muoveva. Un silenzio irreale, un’unica lunga linea nera nei campi bianchi immacolati. Nelle mie esplorazioni di quegli anni ci sono i giri in bicicletta verso San Giovanni in Persiceto, l’incrocio alla Madonna dell’Oppio e la svolta verso le Budrie; le corse a piedi verso Piumazzo e Casale California (appunto!). Tornare a casa a piedi nel buio della campagna da Bosco Albergati. Mi manca questa componente agricola che basta allungare la mano, qui a Milano ovviamente non c’è più da tempo. Le strade secondarie, anzi super secondarie, che passano davanti al castello di Panzano, la statale che arriva a Ferrara, scelta al posto dell’autostrada, con quelle pompe di benzina private che sembrano uscite da un quadro di Hopper (e tutti quegli incredibili Ferrara Sotto Le Stelle). Cosa mi resta di quegli anni? Sicuramente una passione per il crudo di Parma 24 mesi, per il Parmigiano Reggiano, per le Tigelle e lo Gnocco Fritto (non più di 3, dovrei saperlo…anche se poi mi lascio sempre prendere la mano!) da Beppe, il gelato del K2 che sia a Reggio o a Modena, i tortellini in brodo. E poi l’idea che ci debbano essere grandi biblioteche che funzionano bene, che la domenica mattina si vada in centro a piedi a fare due passi anche senza motivo, anche se questa abitudine l’avevo presa quando dalla periferia della periferia ero finalmente sbarcato a Modena!

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Come andavo a fare il giro a piedi, spesso capitava che prendessi la macchina per girare senza meta, un po’ come pare faccia Guido Guidi: ed era un attimo trovarsi di nuovo in mezzo alla campagna con mille suggestioni, magari ascoltando quella radio meravigliosa che era Antenna Uno Rock Station (ringrazio qui, ora, Matteo Reggiani, Gianluca Francia, Vanni Neri, un paio di Francesca e Mara), che ha accompagnato le mie giornate al lavoro, il tragitto in auto verso casa, le code sulla via Emilia per il traffico e per il maltempo.

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Come quella volta che sembrava di essere in Siberia, con gli autobus che scivolavano indietro sul ghiaccio dei cavalcavia e per fare 18 km ci misi 4 ore. Ci sono dei posti che credo mi rimarrano dentro per sempre, come il quartiere S.Eufemia e San Faustino a Modena, piazza Prampolini e piazza Fiume a Reggio Emilia, via Zagabria a Bologna, il tratto di via Emilia che parte da Modena est fino ad Anzola Emilia, Nonantola, Vignola e Bazzano (ah, Emanuel Carnevali!), le salse di Nirano e la strada che taglia dietro Maranello e Fiorano, dove ogni tanto si sente il rumore dei motori Ferrari. Il capannone ormai abbandonato di De Tomaso, e il cimitero di Aldo Rossi. Mi piaceva, e mi piace tuttora la dimensione emiliana, quella che ti porta a pensare che in fondo qui si vive un po’ meglio. Poi non puoi esserne sicuro, ma il pensiero rimane. Perchè certe periferie, ti sembrano le periferie olandesi, dove tutto è curato e a posto. Ho il ricordo di molte camminate, a volte anche la sera tardi o la notte, perchè comunque tutto sembrava sempre tranquillo. Col senno di poi mi sarebbe piaciuto spingere le mi esplorazioni anche un po’ oltre. Non l’ho fatto allora e forse per questo mi capita di tornarci tanto spesso.

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Mi piace pensare di essere stato emiliano per un po’, e in fondo di esserlo ancora almeno per un pezzetto.”