Io sono un figlio di No.Lo.¹, nato e cresciuto per quasi 30 anni in quell’area delimitata dai grandi assi di Viale Monza e Via Padova. A Sud di Milano ci andavo ogni tanto, ma senza conoscerlo fino in fondo, i soliti posti quelli che fanno dire a chi viene da fuori: “certo che milano sud è molto meglio di milano nord”, perchè per loro milano sud significa via tortona. Poi c’è stata l’occasione di spingersi più in là, una mattina di un giorno di festa, Paolo partiva per il suo viaggio verso il mare (viaggio di cui riparleremo prossimamente) ed era un buon motivo per accompagnarlo in questa prima tappa. Una passeggiata di una trentina di kilometri, lungo il naviglio che collega Milano a Pavia. Puntuali ci troviamo in piazza Abbiategrasso, un paio di incroci e siamo sul naviglio. É presto, il cielo grigio e la temperatura mite.

Si parte.

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Quasi subito Milano diventa una città che non conosci, perchè se tutti siamo stati ai navigli, in pochi si spingono fin qui. La dimensione e la percezione della città cambia completamente, in qualche modo implode in una specie di paesone tagliato in due dall’acqua, due mondi che si toccano solo sporadicamente. Non è più la città perennemente collegata, se salti un ponte, il prossimo potrebbe essere 20 minuti più avanti. Le case diventano più vecchie e più rade, niente grattacieli, quasi niente automobili e il verde diventa quasi selvaggio. Dietro rovi e alberi si intravedono orti rigogliosi, ad un passo dai locali del mojito e del moscow mule. Si scopre, tutto a un tratto, una città fatta di retri, un rapporto con l’acqua che pensavi fosse tipico solo delle città del nord dell’Olanda o del Belgio. Ti ritrovi improvvisamente a percepire gli spazi vuoti, che verso nord invece non ci sono quasi più. La città si dilata e si allunga dentro il parco agricolo, non è più Milano, adesso si chiama Assago o Zibido San Giacomo, non cambia tanto la fisionomia, cambia forse il tempo. Sembra di essere in una Milano che ti hanno raccontato, che hai letto da qualche parte, dove il barista conosce tutti quelli che entrano, tranne te che stai andando a piedi a Pavia.

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Finisce anche l’abitato ravvicinato dei paesi della cintura metropolitana, si apre quella che incredibilmente puoi definire campagna. Campi coltivati, distese verdi, cascine in lontananza. Certo, il rumore delle macchine è sempre presente, ma spesso schermato da una vegetazione fitta e rigogliosa come si vede solo ad un passo dall’estate. La temperatura sale, il sole si alza, scendi lungo il naviglio incrociando qualche runner in fase di allenamento e qualche signore non più giovanissimo su biciclette in acciaio pronto per scattare in gruppo con gli amici della domenica.

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Passo dopo passo ti imbatti in resti di un passato ormai dimenticato, in cui quella strada, quel naviglio, aveva un’importanza fondamentale negli scambi e nell’economia di quest’area. Guardie Idrauliche, sistemi di chiuse, di passaggio, strutture ormai in disuso restano come sentinelle a cui nessuno a mai dato il cambio. Edifici bellissimi e pieni di fascino, il suono dell’acqua che scorre rapida riesce ancora ad incantare.

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Guardi a terra e ti rendi conto che la strada è ancora lunga, più di 20 km ti aspettano prima di arrivare ad una stazione che in poco meno di un’ora ti riporterà a casa. Non è passato molto da quando ti sei messo in viaggio e ti sembra già di aver scoperto tantissimo.

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Il sentiero salta da un lato all’altro del naviglio, i campi sono completamente allagati e qualche nutria si aggira circospetta in cerca di cibo. Qualche pescatore ha sistemato le sue cose sul ciglio e lancia il galleggiante nel centro del canale sperando che abbocchi qualcosa. Ti chiedi – oggettivamente – quale possa essere la soddisfazione di pescare a 10 kilometri da Milano, invece che su qualche fiume della Valtellina, ma visto il numero che cresce di ora in ora, un motivo deve esserci. Forse anche solo un motivo di conversazione al bar il mattino dopo, a chi ha tirato su il cavedano o la carpa più grossa.

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Mentre cammini, ogni tanto, ti ritrovi a osservare strutture che sembrano addormentate da tempo, che magari hanno vissuto una vita intensa fino a poco tempo fa, ma che ormai non possono far altro che riposare. Negozi, ristoranti, alberghi, discoteche (dancing forse!). Le serrande tutte abbassate, qualche vetro rotto e un verde incolto che lentamente ma inesorabilemente finisce per ricoprire tutto. Passi oltre e pensi a chissà quante storie avrebbero da raccontare.

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Quando il sole è già alto, tutto si apre. Grandi spazi, alberi che delimitano campi coltivati, l’agricoltura che ti immagini altrove. Sembra un mondo lontanissimo e invece ci sei arrivato a piedi, con un po’ di tempo e un po’ di pazienza, senza fretta. La maledetta fretta che scandisce tutte le tue giornate. Non sei solo, perchè alla tua destra, dietro uno schermo di alberi seppur alti, senti ancora che il tuo mondo è lì. Il rumore dei motori, il trillo del tuo cellulare che ti avvisa della ricezione di una mail, i tetti delle case più alte. É tutto ancora lì a pochi metri, ma la sensazione – anche se temporanea e breve – di essere in una dimensione diversa è davvero molto piacevole.

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Senza quasi rendertene conto sei arrivato in provincia di Pavia. Tra piccoli cimiteri, ponti in ferro, deviazioni verso frazioni dai nomi curiosi come Baselica Bologna, edifici industriali che ti proiettano senza volerlo sui docks londinesi, arrivi a intravedere la sagoma della Certosa.

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Al cospetto del monastero sai che non manca molto alla fine del viaggio, ma è troppo ghiotta l’occasione per non fare un deviazione e visitare quello che è un dei più bei complessi monumentali che si possano vedere. Affidato alle cure dei Certosini, prima, dei Cistercensi poi, dopo una breve parentesi benedettina è ora di proprietà dello Stato e ospita una comunità di monaci cistercensi, nonchè la stazione dei Carabinieri. La facciata è un esempio tipico dell’architettura rinascimentale lombarda.

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Mancano pochi kilometri, la periferia si avvicina, aumenta il numero di persone che ti vengono incontro, nella loro passeggiata appena fuori da casa. Il naviglio entra in città, a Pavia, il primo ponte che ti viene incontro non è più di ferro grezzo, ma di fattura più ricercata, cammini costeggiando lo stadio e finalmente sei arrivato in centro. La stazione è vicina, il primo treno parte tra pochi minuti.

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L’acqua prosegue il suo corso, ed è ora di tornare. Sono state 8 ore diverse, immerse in un tempo a volte rarefatto, a volte contratto. Camminare ti permette di vedere, di notare cose che  diversamente ti sarebbero sfuggite. Ti rendi conto che camminare è un bellissimo modo di viaggiare.

Per questo non vedi l’ora di raggiungere Paolo, qualche giorno dopo, sulla via del mare 60 km più avanti.

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Consigli Utili:

  • per raggiungere Pavia a piedi da Milano sono sufficienti scarpe comode e un po’ di pazienza per percorrere i circa 30 km. Uno zainetto con acqua e qualcosa da mangiare non fanno male.
  • per tornare a casa, dalla stazione dei treni partono con buona frequenza treni che arrivano alla Stazione Centrale e alla Stazione di Trenord Milano Bovisa

Note
¹. Area posta a nord di Milano, avente come punto di convergenza Piazzale Loreto, la cui direttrice principale si attesta su Viale Monza.