I baffi a manubrio e il passo sicuro, Michele Massaro si aggira per il suo laboratorio raccontando e indicando macchine provenienti da un passato lontano, lontanissimo. Potrebbe sembrare la casa di Mangiafuoco, l’antro del dio Efeso o la porta per raggiungere il centro della terra di uno dei romanzi di Jules Verne, nella realtà, invece, grazie a quelle macchine e al fuoco prendono vita strumenti che utilizziamo tutti i giorni, più o meno consapevolmente.
Siamo ospiti dell’Antica Forgia Lenarduzzi, dove si costruiscono coltelli da cucina, su misura, su commissione. Michele Massaro è un coltellinaio che realizza coltelli per i più importanti chef internazionali in una forgia che già dal biglietto da visita non lascia dubbi: italian handmade since 1400. Ha preso in mano e portato avanti una tradizione antica, trasformandola in un’eccellenza contemporanea. La nostra breve visita ci ha dato solo un assaggio, ma non appena ha aperto la saracinesca che permette il deflusso dell’acqua e di conseguenza cinghie e pulegge hanno cominciato a muoversi, è stato come fare un salto indietro nel tempo di 700 anni. Non c’è corrente elettrica che muova queste macchine, ma solo ed esclusivamente l’acqua la cui forza mette in moto ogni cosa, senza interruzione. Definirla energia pulita potrebbe quasi essere offensivo: le uniche particelle di CO2 prodotte saranno quelle dovute alla respirazione un po’ più affannosa nel momento in cui con il rastrello si deve pulire il canale.
L’acciaio viene riscaldato nella fornace e poi battuto sul maglio a balestra, che di sicuro non avrà un controllo digitale della potenza, ma continua a svolgere egregiamente il suo lavoro da centinaia d’anni. Si respira una sapienza ed una abilità che di rado capita di incontrare.
Michele ci racconta di come abbia ripreso in mano una tradizione che stava inesorabilmente andando perduta e di come abbia voluto, col nome della forgia, rendere omaggio a tutti quegli artigiani che lavoravano per conto terzi, producendo moltissimi pezzi, senza aver mai la possibilità di mettere il proprio nome. Con la sua attività ha voluto in qualche modo che si potessero riscattare.
La visita a Maniago era partita qualche ora prima, quando siamo entrati nella fabbrica FAMA dei F.lli Antonini. Anche loro produttori di coltelli, anche loro artigiani sin dal 1929, ma con un ambito decisamente meno di nicchia.
Eppure la passione risulta essere la stessa. Nel Sig. Antonini che ci accoglie sulla porta e mentre racconta della sua azienda, tuttora a conduzione familiare, si percepisce chiaramente che questo non è solo un lavoro. É qualcosa di più profondo, che parte da più lontano, da generazioni, da momenti della nostra storia in cui bisognava ingegnarsi per riuscire a mettere insieme il pranzo con la cena. I tempi ora sono decisamente cambiati, la coltellineria a Maniago è un’eccellenza, molte cose non sono più le stesse, ma di sicuro non sono mutati l’entusiasmo e l’amore per questo lavoro. All’ingresso della fabbrica alcuni pallet sono pronti per essere spediti in California, tutt’intorno modelli di coltelli da cucina, manici in legno, resti di lame. I problemi non mancano, le nuove tecnologie a cui adeguarsi, i concorrenti stranieri, ma la soddisfazione nel proprio lavoro e nella propria storia sono evidenti e assolutamente giustificati. Riuscire ad essere apprezzati dopo tanti anni potrebbe essere un vanto da esibire, anche meritatamente, ma qui non si respira aria da vincitori, ma solo la sana consapevolezza di aver fatto e continuare a fare al meglio il proprio lavoro.
E fare bene il proprio lavoro è qualcosa che i friulani di queste parti hanno sempre fatto. Penalizzati da una terra non proprio adatta alla coltivazione, per non patire la fame, paese dopo paese, si sono specializzati in una professione. Scalpellini, cavatori, coltellinai, cuochi, mosaicisti e terrazzieri (coloro che realizzavano i pavimenti alla veneziana) sono partiti in cerca di fortuna, non solo nelle vicine regioni ma anche all’estero, in Europa e in America. Ancora oggi le comunità di friulani negli Stati Uniti e Canada sono tra le più numerose.
Facciamo un rapido giro per la piazza principale e ci dirigiamo verso il bellissimo Duomo di S.Mauro, con il campanile dalle chiare influenze veneziane e le decorazioni della facciata – tono su tono – con motivi longobardi. La presenza veneziana si fa sentire anche nel grande affresco che vede un leone schiacciare uno scudo con il simbolo dei Maniago: la forza della Serenissima non era solo quella mostrata per mare.
É domenica mattina, è prestissimo, decine di persone si aggirano per il centro per allestire un grande mercato. Allontandosi di pochi passi, la città dorme ancora e ne approfittiamo per guardarci attorno.
Giusto pochi metri e ci troviamo davanti al Teatro Verdi, ospitato in quella che era una vecchia filanda, le cui tracce sono ancora ben visibili sulla facciata.
Bastano invece pochi kilometri, abbandonare le case e le piazze, per ritrovarsi tre le Dolomiti Friulane. Una delle aree più belle e incontaminate d’Italia, dove la presenza umana è ridotta davvero al minimo: non ci sono strade, non ci sono impianti sciistici, non ci sono infrastrutture. Un’area di quasi 37.000 ettari in cui la natura può esprimersi al suo meglio con innumerevoli specie floreali, alcune rare e presenti solo qui, e con la presenza radicata e numerosa di quasi tutte le specie animali tipiche delle Alpi. Camosci, cervi, linci, aquile reali, poiane, gufi e molti altri sono di casa ormai: anche il lupo e l’orso, anche se al momento non stanziali, hanno fatto registrare la loro presenza. É inoltre un’area ricca di corsi d’acqua; il Torrente Cellina, che si attraversa proveniendo da Ovest prima di raggiungere Maniago, ha un fascino e una ampiezza davvero notevoli.
Fabiano è una guida del Parco Naturale Dolomiti Friulate, ci racconta di come questa terra sia entrata di diritto tra le aree dell’UNESCO. Ma anche di quanta fatica si faccia per valorizzare un territorio che merita davvero di essere vissuto, di come si cerchi di coinvolgere più paesi possibili, in modo da creare un circolo virtuoso di cui tutti alla fine possano beneficiare. Ci porta ai piedi delle montagne, appena a Nord di Maniago, dove ci sono percorsi e passeggiate per tutti i livelli di difficoltà, per chi vuole camminare qualche ora e per chi vuole camminare qualche giorno, con la possibilità di fermarsi in bivacchi sempre aperti e perfettamente attrezzati. Ci porta alla Riserva Naturale Forra del Cellino, da cui parte la Vecchia Strada della Valcellina, ormai dismessa, per un percorso che si snoda tra gallerie e un corso d’acqua color smeraldo. Una passeggiata alla portata di tutti in un ambiente davvero suggestivo.
Al Museo di Andreis, Cristina ci racconta di come tutto sia nato per conservare e tramandare usi, mestieri e tradizioni che rischiavano di venire ingiustamente dimenticati. Gli attrezzi del lavoro, gli utensili della casa, i vestiti neri, scuri, così che non si vedessero troppo le tracce del fumo, dovute al fuoco che perennemente ardeva in stanze senza un camino.
Le calzature cucite a mano, i cestini di fil di ferro per asciugare la verdure, sono tutti in mostra nelle sale del piccolo museo, ma quando si esce il paese non è da meno: con una tipica architettura che si cerca di mantenere e ristrutturare a testimonianza di un passato alla fine nemmeno troppo lontano. Un’architettura semplice, funzionale, rigorosa ed essenziale che nonostante il tempo ha mantenuto inalterata la sua bellezza. Nonostante qualche adeguamento quasi inevitabile per la vita di tutti i giorni, rimane viva e vivibile. (Se siete un po’ abituati al freddo invernale, sarà più facile. NdA)
Poffabro è caratterizzato da spazi esigui e dalla necessità di costruire; così le case si sono incastrate seguendo una logica visivamente irrazionale, ma praticamente perfetta. Balconi in legno che sbucano da tetti in coppi, spigoli e incastri, finestre e porte che si adeguano al pendio, sono la caratteristica principale di questo piccolo borgo, frazione del Comune di Frisanco.
Entrambi i borghi presentano caratteristiche simili, benché Frisanco goda di spazi decisamente più ampi se paragonati a quelli della sua frazione. Ma ciò che lo rende unico invece, è il piccolo Museo “Da li mans di Carlin” che ospita le creazioni di Carlin, un uomo che per 40 anni – è morto a 100 anni – si è dedicato a riprodurre in scala 1:10 gli edifici più tipici del suo paese, dalla chiesa al municipio, dalla bottega del fabbro al mulino, dalla falegnameria alla carbonaia. Ogni costruzione è interamente apribile, ogni oggetto riprodotto nei più piccoli particolari e assolutamente funzionante. Potrete non crederci ma una pialla costruita con un rapporto di 1:10 riesce davvero a creare scaglie di legno alla stessa scala! Suo figlio ci accoglie e ci dà il benvenuto chiedendo: italiano o furlan? Una volta appurato che il furlan sarebbe per noi pressoché incomprensibile, ci accompagna e ci racconta la storia di ogni costruzione, della dedizione di suo padre che ha impiegato praticamente tutta la seconda parte della sua vita interamente a questa attività.
É una nota comune, la cosa che più colpisce di questi brevi incontri: una grande passione. Per il territorio, per il proprio lavoro, per il cibo – eccellente sempre – , per una storia che non vuole essere dimenticata, per la voglia di raccontare una realtà che ha molto da dire e che forse ancora non è riuscita a esprimerlo al meglio, ma che merita, merita davvero.
Da Vedere:
Museo dell’Arte della Civiltà Contadina di Andreis
Museo Arte Fabbrile e delle Coltellerie di Maniago
Parco Naturale Dolomiti Friulane
Mangiare:
La sensazione è che in Friuli si mangi bene senza difficoltà. Tra formaggi, vini e specialità varie, sembra davvero difficile alzarsi da tavola scontenti. Noi, per esempio, abbiamo mangiato benissimo qui:
Palazzo d’Attimis – Maniago (anche hotel, alcune camere sono più grandi di parecchi monolocali di Milano e hanno una vista sul giardino all’italiana che da sola varrebbe la spesa)
Ristorante da Tavin – Maniago (anche pasticceria con prodotti artigianali – marmellate, cioccolate – ristorante piccolissimo al primo piano)