Nel 2014 Alessandra e Giancarlo sono stati la prima coppia di italiani ad aver concluso i 3517 km dell’APPALACHIAN TRAIL. Sono sposati da 29 anni, da sempre coltivano la passione per i viaggi e negli ultimi anni proprio per i viaggi a piedi. Il Cammino di Santiago, il GR20, la via Francigena e per ultimo, appunto,  l’immenso Appalachian Trail. Abbiamo chiesto loro di raccontarci un po’ di più com’è stata proprio questa avventura americana.

NBM: Come e dove nasce la passione per il cammino?

La nostra passione nasce da un’idea lontana dai cammini. Ci piaceva correre, tanto da partecipare a svariate maratone che ci permettevano di accomunare le nostre più grandi passioni, il viaggio e lo sport. Nel Novembre 2001 abbiamo partecipato alla NYC MARATHON che è stata la nostra prima maratona, forse quella che ci ha segnati più di tutti e che ci ha portati a fare quello che stiamo facendo ancora oggi con grande passione. A seguire abbiamo partecipato alla maratona di Pechino e a svariate in giro per l’Italia ed Europa. Per quanto l’emozione e l’esperienza fosse tutte le volte forti, sono arrivata a un punto in cui, con mio rammarico, decisi insieme a mio marito, che era dello stesso avviso, che non avrei più continuato. La causa era un allenamento troppo logorante. Smisi comunque soddisfatta perché ero riuscita a raggiungere il mio obiettivo delle 3h:43. La nostra rottura con le maratone non fu drastica, continuammo comunque a partecipare a mezze maratone e da queste iniziammo a camminare,che sicuramente rappresentava una grande fatica ma meno invasiva per il fisico e per la mente. Il giro del Monviso e il tour del Monte Bianco sono stati i nostri “ battesimi”. Il cammino vero e proprio fu quello  di Santigo de Compostela,che nella nostra storia verrà ripetuto altre 3 volte tutte con percorsi diversi. La cosa che più ci faceva capire quanto amassimo questo sport è che, durante i cammini che facevamo, programmavamo già quelli futuri, la voglia di solcare sentieri e scoprire posti nuovi solo grazie alle proprie gambe, senza nessuna interferenza da parte di quello che ormai ci circonda oggi, cresceva e cresce sempre di piú.

NBM: Come è nato il progetto dell’Appalachian Trail?

Fu regalato un libro a mio marito, “Una passeggiata nei boschi” di Bill Bryson, lui lo lesse e mi disse: “Io il prossimo anno vado, vieni con me?”.

NBM: Quanto tempo avete dedicato all’organizzazione del viaggio e quali difficoltà avete incontrato?

Non ci sono state delle grandi difficoltà, se non quelle dell’organizzazione, o meglio, della rivisitazione della nostra vita. Il lavoro, che essendo stagionale si concentra in particolari periodi dell’anno e la famiglia, che è sempre parte fondamentale delle nostre avventure. Altro punto decisivo del piano, era trovare degli sponsor perché solo con le nostre finanze non saremo mai riusciti a partire. L’organizzazione in tutto è durata un’anno, passato velocemente. Il 2 Maggio 2014 siamo partiti per Atlanta punto più vicino alla partenza dell’Appalachian Trail, tempo qualche giorno per organizzarci per le provviste, e il 5 maggio è iniziata la nostra avventura.

NBM: Quali sono state le sensazioni provate durante il primo giorno di viaggio?

Consapevolezza e paura di affrontare un percorso diverso da tutti quelli che avevamo affrontato fino a quel momento. Un trail, in una terra che non ti appartiene. Il pensiero di avere avuto aspettative troppo grandi. L’adrenalina, l’emozione. Lo zaino, che mai più pensavi che pesasse così tanto, ma che man mano si è alleggerito sempre di più. Perché più vai avanti, più ti rendi conto di quante cose materiali puoi fare a meno per vivere, anche in situazioni più anguste. L’Approach Trail che va da Amicalola Falls a Springer Mountain sono le 8,8 miglia attraversate il primo giorno, servono a presentarti e a rompere il ghiaccio, con il Signor Sentiero, l’amico che ci ha tenuto compagnia per i futuri 144 giorni.

NBM: Quali sono stati gli aspetti del viaggio che più vi hanno stupiti?

Alessandra: È curiosa la varietà di gente che incontri lungo il trail, giovani che vanno come delle saette per poter arrivare il prima possibile. Persone di età più avanzata che quasi passeggiano come se fossero al parco. E poi incontri quello un po’ sprovveduto con i sandali o quello che cammina accompagnato dal suo fedele compagno cane, a cui viene caricato anche a lui un piccolo zaino con le provviste. La collaborazione di chi vive nei paesi ai margini del trail, che a volte, sapendo che puoi rimanere senza o con poche provviste, pensano loro a lasciarti una “magic box” lungo il sentiero, una scatola o frigo da campeggio con all’interno rifornimenti bevande, frutta e snack. Quando vedi queste cose capisci che la generosità delle persone è infinita. Ma la cosa, che ancora oggi quando ci penso mi fa brillare gli occhi, sono i raggi di sole dell’alba che filtravano attraverso gli alberi della foresta, visti appena aprivi la tenda, sicuramente sapevi che sarebbe stata una bellissima giornata!

Giancarlo: E’ un dato di fatto l’organizzazione di un trail a lungo raggio come questo, la volontà dei thru-hiker di affrontare il percorso, la convivenza con animali selvatici, come orsi, serpenti, puma e alci e il sostegno dei volontari, la pulizia dei sentieri e il rifornimento d’acqua. Sicuramente su tutto l’immensità della natura che ti circonda, nonostante la vicinanza in alcuni casi di grandi metropoli. Detto ciò una gioia immensa giorno dopo giorno.

NBM: Che tipo di paesaggio avete incontrato? Qual era la reazione delle persone che vi incontravano?

Alessandra: Le aspettative erano diverse, non immaginavo di camminare per così lungo tempo all’interno della foresta dove, anche se la vegetazione era varia, prevalevano rocce e fango. Mi aspettavo di camminare sotto cieli azzurri e verdi praterie ,che ahimè fino all’arrivo in Pennsylvania, non si sono mai viste. Non sono mancati però incontri con la fauna locale, caratterizzata da serpenti a sonagli e orsi, che fortunatamente non ci hanno mai creato disagi o pericoli.

Giancarlo: In particolare modo la fase iniziale è molto differente da quello che ci si aspetta, hai continui saliscendi dentro la foresta. Grosse colline con una vegetazione fitta in cui ti trovi a camminare all’interno senza mai avere la possibilità di goderti il panorama. Come se fossi nel ventre della collina. Quando finalmente inizi a vedere scorci di orizzonte e panorami aperti, devi essere consapevole che la natura ti chiede più fatica e che i percorsi diventano più impegnativi, iniziando a camminare sulle creste. Un esempio possono essere le White Mountains. Essere i primi italiani a percorrere l’Appalachian Trail, ci ha resi una sorta di attrazione per gli americani, era pazzesco vedere come la voce si spargeva a macchia d’olio su tutto il cammino. Ma questo ci faceva molto piacere e ci riempiva d’orgoglio, dandoci anche la forza nei momenti un pochino difficili per non mollare. Ci capitava, a volte, di arrivare in qualche villaggio e la gente ci chiedeva se fossimo gli “Italiani” e se potevano fare una foto con noi. Potete immaginare il nostro cuore gonfio di felicità e stupore. Le persone che abbiamo incontrato, sono sempre state molto disponibili. Quando uscivamo dalla foresta per andare a fare rifornimento di cibo, e recuperare le forze in un letto comodo, dovevamo fare autostop, e non ci hanno mai lasciato a piedi! Una famiglia splendida una sera ci ha invitati a casa loro a cena, e sempre facendo autostop un’altra volta il titolare di un ristorante italoamericano ci ha invitati a mangiare nel suo ristorante con tutto il suo staff, è stato bellissimo.

NBM: Avete dovuto affrontare degli imprevisti?

Qualche imprevisto sì, in linea di massima, ma siamo stati abbastanza fortunati. Il 26 giugno siamo arrivati a Delaville, Giancarlo è andato a farsi visitare in una clinica dove spesso arrivano thru-hikers che hanno problemi alle articolazioni, perchè camminando gli si bloccava la gamba sinistra dandogli fitte dolorose. I dottori hanno detto che era stress dovuto ai vari dislivelli, così con un po’ di impacchi di ghiaccio, antinfiammatori e due giorni di riposo, ha potuto riprendere il cammino. Era il 10 settembre quando sulla nostra guida era scritto: “Mahoosuuc Notch, most difficult or fun mile of the A.T. make way through jumbled pit of boulders. (Molto difficile o divertente miglio dell’ A.T. Percorso attraverso cumuli di massi). Era lungo solo 1 miglio, ma ci sono volute due ore per farlo. Un ammasso di roccia continuo da oltrepassare, dovevamo spesso toglierci lo zaino dalle spalle cercando di farlo passare in fessure quasi improponibili, lì sono caduta in malo modo. In quel momento e solo in quello ho pensato che non avrei finito l’AT. Ma la volontà vince sempre!

NBM: Il ricordo più bello che vi portate a casa?

Fare l’ultimo passo verso la punta del Kathadin, quasi inconsapevoli in quel momento di aver portato a termine quella che per noi rimane e rimarrà’ sempre un’impresa e una grande avventura. Aver condiviso momenti indescrivibili, sensazioni, emozioni che solo chi ha fatto quest’esperienza può capire veramente, poi ci sono i thru-hiker conosciuti lungo il cammino, persone con cui ci siamo supportati e dati forza a vicenda, con cui abbiamo sofferto e riso e che adesso sono amici che portiamo nel cuore. I nostri nickname che non dimenticheremo mai, e che ci hanno accompagnato per tutto il cammino e ci accompagneranno per le nostre prossime avventure, DRAGONFLY & ITALIAN STALLION.

NBM: Le differenze più grandi con un grande cammino strutturato come potrebbe essere il Cammino di Santiago? E con altri grandi sentieri europei che avete sperimentato?

Sull’AT a differenza dei rifugi si trovano solo Shelter, una tettoia a tre lati, o Camp Site, i nostri comuni posti tenda. Animali selvaggi, orsi, serpenti, ragni, possibilità di incrociare un puma raramente, sentieri più aspri, difficoltà nel trovare acqua e cibo e l’impossibilità di trovare le comodità della vita di tutti i giorni. Into the Wild, come dicono gli americani. L’unico sentiero a lungo raggio che più si avvicina all’AT è il GR20 in Corsica, non per niente uno dei trail più conosciuti al mondo, da noi percorso nel 2011.

NBM: Il prossimo progetto?

Prossimo anno, 2018, PCT – PACIFIC CREST TRAIL, 4200 KM dal Messico al Canada attraversando i grandi parchi d’America. Stiamo valutando in base alla nostra esperienza il modo di affrontarlo, per quanto riguarda l’attrezzatura, più leggera e una preparazione mentale e fisica che ci dia la possibilità di poterlo effettuare nel migliore dei modi. Speriamo anche di ottenere lo stesso riscontro avuto nel precedente trail.

Ringraziamo Alessandra e Giancarlo per l’intervista. Tutta la storia del loro bellissimo viaggio la trovate sul loro sito.