Ieri, sulla pagina Facebook di Radio Deejay, Frank ha dedicato la seconda puntata di Deejay On The Road, a Mattia Miraglio, un camminatore con tanti tanti chilometri sulle spalle. Noi di NoBordersMagazine eravamo dietro le quinte per ascoltarlo e per tornare sulle nostre pagine a raccontarvi qualcosa in più del suo viaggio.
Mattia ha quasi completato il giro del mondo. Il piccolo particolare che lo distingue dai tanti viaggiatori che salgono su un aereo con un biglietto round-the-world, è che lui la circonferenza della terra l’ha percorsa quasi totalmente a piedi.
Non è il solo al mondo ad averlo fatto. La categoria è dei pedestrian circumnavigators, ovvero circumnavigatori a piedi. Non sono molti, là fuori nel mondo, ma abbastanza da meritarsi una voce di Wikipedia.
Il primo, in ordine di tempo, fu Dumitru Dan, un geografo romeno che, dal 1910 al 1923, attraversò a piedi 76 paesi, consumando (nel caso ve lo chiedeste) 497 paia di scarpe.
A giudicare dalla voce di Wikipedia, Mattia un primato ce l’ha (o l’avrà a breve). Potrebbe essere uno dei primi italiani a poter rientrare tra i circumnavigatori mondiali su due gambe (con lui c’è anche Claudio Pellizeni). Un record non da poco.
Ma cosa spinge un uomo (o una donna) a uscire di casa e a incamminarsi sulla strada con la consapevolezza di voler attraversare tutto il mondo?
Dopo l’intervista con Frank, abbiamo incontrato Mattia e gli abbiamo fatto qualche domanda in più sui chilometri già calpestati e su quelli che verranno.
La prima cosa a cui abbiamo pensato dopo aver incontrato Mattia Miraglio, è stato un fiume. Partito da una piccola sorgente, come può essere un paesino del cuneese (Savigliano, per la precisione, perchè ci tiene particolarmente) per poi scendere con sempre più consapevolezza verso la foce. Te lo ricorda per i primi passi non troppo lontano da casa, i primi kilometri cercando di ambientarsi tra un’ansa e una rapida, per poi distendersi con sempre più consapevolezza lungo il proprio corso. Mattia ti trasmette forza e calma nelle proprie scelte, una modalità che ricorda il lento ma inesorabile progredire dell’acqua, di un fiume appunto, che forse è proprio la cifra di chi viaggia camminando.
NBM: La prima cosa che vorremmo chiederti è se ti ricordi i primi 30 km del tuo lunghissimo viaggio, i pensieri che avevi in testa, come ti sentivi.
MM: Io sono partito alle 11 del mattino, il 19 aprile 2014, ed ero già in ritardo per la prima tappa. Dovevo fare 40 km, da Savigliano ad Alba. Faceva un freddo cane, sotto la pioggia martellante, avevo alcuni amici al seguito che mi accompagnavano lungo la strada, c’era persino la RAI e io che avevo chiesto se per favore si poteva evitare di parlarne in giro! Avevo un mal di testa incredibile, anche perchè i miei compaesani mi avevano fatto fumare una canna, l’ultima canna dicevano. Stavo già faticando come una bestia e il mio pensiero era: “Ma davvero voglio farla questa cosa?”, poi mi sono detto che dovevo comunque andare avanti visto che ci avevo messo la faccia.
NBM: Un posto inasapettatamente bello o una situazione assurdamente bella che ti è capitata a che non avevi minimamente preventivato?
MM: Direi sicuramente Georgia e Armenia. Non erano inizialmente previste nell’itinerario, perchè quando sono arrivato in Turchia, avrei potuto proseguire direttamente per l’Iran e invece alla fine avevo deciso di allungare il giro. Non credevo di trovare posti tanto belli, con una natura sconfinata che ti fanno sentire allo stesso tempo isolato e completamente immerso. Erano già passati diversi mesi di viaggio e migliaia di kilometri e mi sono davvero rimasti nel cuore perchè è stata una cosa del tutto inaspettata, una bellezza sconvolgente.
NBM: E invece, prima di partire avevi idea di un posto, magari un po’ mitizzato, dove eri sicuro che avresti avuto emozioni bellissime e invece alla fine non si è rivelato così entusiasmante?
MM: Probabilmente l’India, perchè l’impatto è stato molto forte da subito. Non avevo mai privacy, mi aprivano il carretto di continuo, mi hanno rubato un sacco di cose. Ero sempre circondato da persone, curiosi, piccoli gruppi, 5 o 6 persone ma anche centinaia. Il vedere il poco rispetto che in alcune situazioni hanno per la natura, laddove io pensavo fosse esattamente il contrario; come quando accendono fuochi per scaldarsi bruciando contenitori di plastica, con tutte le conseguenze del caso. Dalle esalazioni al danno ambientale della plastica bruciata. Per cui una volta arrivato lì ho dovuto in qualche modo riadattarmi mentalmente, mi sono detto che non era come pensavo, che era tutto molto più caotico, che in qualche modo avrei dovuto farmela andare bene, però sicuramente c’è stato un impatto negativo benchè spesso nell’immaginario del viaggiatore l’India sia considerata come uno dei punti chiave del proprio percorso. Invece vedere situazioni al limite del degrado mi ha fatto stare male, quasi fisicamente. Una sensazione che ho provato anche in Nepal per certi aspetti. Alla fine ti serve tutto, ti fa capire che certi stereotipi, come la spiritualità per esempio o la mitizzazione, alla fine lasciano il tempo che trovano, che nella realtà ci sono mille sfumature, specie in paesi enormi come l’India, ma non solo. É stata una parte del viaggio che mi ha anche stancato molto, più psicologicamente che fisicamente.
NBM: La tappa successiva dove ti ha portato, per provare a rilassarti?
MM: Siccome non povevo passare per il Myanmar sono andato direttamente in Thailandia e lì è stato come un bagno rilassante. Tutto molto più tranquillo, meno caotico, forse anche più abituati allo “straniero” per cui magari ti fermano e ti chiedono, ma con meno foga e sempre con il sorriso, più rispettosi.
NBM: Ma in un viaggio così lungo e comunque stancante, c’è un momento in cui pensi “ok, bello ma ora torno indietro”?
MM: Tutti i giorni. Ci pensi di continuo un po’ forse anche per le caratteristiche di noi italiani, perchè ti mancano delle cose pratiche, piccole se vuoi, ma pratiche. Ci sono i problemi fisici che devi affrontare tutti i giorni, come la dissenteria per esempio, però alla fine la bilancia pesa sempre più dalla parte del viaggio. La voglia di vedere, la curiosità di capire cosa ti aspetta, la sensazione di poter esplorare qualcosa di nuovo tutti i giorni.
NBM: L’ansia da routine non ti colpisce mai? Perchè in fondo a volte si parte per evitare i soliti gesti tipo sveglia-treno-lavoro-treno-casa e poi magari ti ritrovi a migliaia di kilometri a fare più o meno la stessa cosa, solo con una declinazione diversa, come magari sveglia-tenda-camminare-tenda-dormire. Ti prende mai questa specie di ansia?
MM: Sì verissimo, ce l’hai anche in un viaggio così. La vera differenza è qui te la sei scelta tu, non ti viene imposta e questo fatto ti permette di viverla anche nei suoi lati positivi di quotidianità. Quella che normalmente in un viaggio manca, perchè solitamente si risolve in un periodo breve e che in questo caso diventa quasi un esercizio, come fare yoga, una parte della tua vita vissuta. Poi è bene dirlo, non è che non ci annoia mai. É bene saperlo!
NBM: Cambiando continente, com’è stato l’impatto con il deserto australiano?
MM: Un misto di paura, rispetto per la vastità e incredulità per quello che vedi. Il silenzio, e poi anche il timore di non farcela, di restare senza cibo e acqua, sono totalizzanti almeno all’inizio. Poi passati i primi giorni riesci a calarti completamente in questa bellezza naturale. Mi portavo 100kg di roba, tra acqua e scatolame, cerchi di inventarti modi per fare colazione con la frutta in scatola e musli per esempio (buonissima, fidatevi). É stato sicuramente il momento in cui senti di più l’isolamento totale, in cui sei davvero solo con te stesso per ore e ore, giorni interi. Il problema più grande alla fine sono state le mosche, perchè ce ne sono a milioni e ti stanno addosso tutto il tempo! Ti fanno quasi uscire di testa con quel ronzio di fondo. Poi dopo il primo mese ti abitui.
NBM: Raccontaci di questo nuovo viaggio con partenza da Vancouver che inizierà ad Aprile.
MM: Sicuramente è un viaggio più consapevole, perchè sono un po’ più maturo, sono cresciuto rispetto a quella mattina di Aprile del 2014. Resta comunque il mio modo di viaggiare, improvvisando sempre, senza troppe indicazioni di itinerario, tanto che al momento l’unica indicazione sicura è che si andrà verso Sud. Anche i tempi saranno dettati probabilmente dai visti, per il resto come viene, viene; come al solito mi farò dare indicazioni dalla gente del posto. Probabilmente scenderò per gli stati di Oregon e Washington, magari il Pacific Crest Trail, sul tratto ciclabile che è meno famoso, così da poter spingere il carretto senza troppi problemi, poi la California, il centro America e poi verso Santiago e mi piacerebbe molto arrivare in Patagonia. Tra l’altro credo che sarei il primo a fare tutto il continente americano a piedi.
NBM: C’è qualcosa che hai fatto come prima cosa appena sei tornato a casa? Qualcosa che ti mancava davvero, tipo la lasagna della mamma?
MM: Guarda, sicuramente. Sono andato a mangiare sushi! Poi la birretta, il caffè. Quelle piccole cose che mi sono mancate di più durante il viaggio. Come gli abbracci con le persone. Una cosa strana che mi è successa è che per i primi 10 giorni dopo il mio ritorno, ho dormito per terra con il sacco a pelo e la finestra spalancata a novembre, perchè avevo bisogno di aria.
NBM: E per concludere, cosa ti porti dentro dopo tutto questo viaggio?
MM: Mi porto dentro il fatto di aver vissuto tanto in tenda e so benissimo, ora, che non mi servono le cose per stare bene, che qualsiasi cosa accada nella vita, con una tenda e un po’ da mangiare io sono felice. Mi sono tolto di dosso un po’ di quelle ansie da prestazione, di possedere delle cose o una bella casa. Ora so che con una tenda a due posti posso vivere bene, è questa la cosa mi è rimasta dentro, nel profondo.
Grazie, Mattia.
Se volete saperne ancora di più su Mattia, potete leggere il suo racconto di viaggio A passo d’uomo. Giro del mondo a piedi, edito da L’Artistica Editrice.
Se vi siete persi la puntata, trovate il podcast completo qui.
La foto in copertina è di Mattia Miraglio.