La sesta puntata di Deejay On The Road condotta da Frank e in diretta sulla pagina Facebook di Radio Deejay, è stata probabilmente la più intensa tra quelle viste finora. L’ospite è stato Carlo Taglia, autore di tre libri che raccontano la sua esperienza di viaggio ma anche e soprattutto la sua crescita interiore.
Carlo intorno ai 20 anni sentiva di non stare bene, che qualcosa nella sua vita non funzionava e complice un primo viaggio estivo in Spagna, di quelli fatti tra amici in Panda e tenda, ha capito che qualcosa si era mosso dentro di lui. Così l’anno seguente in Spagna ci torna, ma questa volta da solo, a lavorare per la stagione estiva.
Si può dire che tutto sia partito da lì. Da quel momento tutte le sue energie si sono incanalate nel cercare la propria strada. Le energie, che in passato l’avevano anche portato ad eccedere e a rischiare per la propria vita, in viaggio riuscivano a portarlo lontano e in qualche modo a curarlo. Carlo la chiama “medicina”, infatti.
Parlandoci, la cosa che più ti colpisce è una profonda consapevolezza di sè, una conoscenza di se stesso davvero invidiabile che gli ha permesso di metabolizzare e in qualche modo fare i conti con tutto quello che non funzionava. Il suo sguardo sul mondo regala attimi di distensione in tempi di caos.
Ha scelto di scrivere la sua esperienza e ha scelto di farlo senza filtri, pubblicando, e cercando di promuovere il suo lavoro completamente da solo. Un lavoro non da poco che però ha decisamente portato i suoi frutti. Il suo primo libro “Vagamondo” è stato a lungo tra i più venduti su Amazon, e ora che ne è uscito un altro, “Vagamondo 2.0” gli auguriamo la stessa fortuna.
Il suo viaggio più impegnativo è stato senz’altro il giro del mondo, senza aerei. 528 giorni, 95.450 km e 24 nazioni, questo è stato il punto di partenza. Sì perchè contrariamente a quello che si potrebbe pensare, il giro del mondo è vissuto come il momento in cui tutto ha inizio, e non come il momento in cui tutto finisce. Certo cambiano gli obiettivi e gli approcci al viaggio, ma non cambia la voglia di scoprire e di misurare se stessi.
Quella che segue è la chiacchierata che abbiamo fatto con Carlo, una volta conclusa la diretta. In realtà avremmo potuto andare avanti per ore, ma c’era un treno ad aspettarlo, e abbiamo dovuto lasciarlo andare!
NBM: Come prima cosa vorremmo chiederti di parlarci dell’India, perchè un argomento che ritorna spesso nei racconti dei viaggiatori, nel bene e nel male. Tu prima accennavi al fatto che per te è stata decisamente molto importante. Molti ci hanno raccontato di esperienze molto dure, che mettono a dura prova le proprie convinzioni. Tu sei arrivato lì sapendo già cosa ti aspettava o in qualche modo sei stato travolto da questo mondo così diverso dal nostro?
CT: Io partivo dalla mia esperienza fatta in Pakistan e in Kashmir quando avevo 20 anni ed ero andato ad aiutare le popolazioni terremotate, qundi avevo già un’idea di cosa significasse andare in quelle aree del mondo. La prima volta che sono arrivato in India è stata comunque un’esperienza fortissima, anche se ero già abbastanza preparato. Il caos delle grandi città, come Delhi o Calcutta, anche a me faceva venir voglia di scappare i primi giorni. Però è proprio quello il momento in cui, se resisti, viene fuori il bello. Se riesci ad andare oltre questa prima sensazione, poi ti si apre un mondo straordinario, nel bene e nel male. Dico nel bene e nel male, perchè sicuramente l’India è una scuola di vita, ti porta a vedere i lati più estremi dell’essere umano, la miseria. Ho lavorato con i bambini delle baraccopoli di Calcutta e Varanasi e lì ho visto davvero le situazioni più estreme ci si possa immaginare, però mi ha insegnato tantissimo sull’essere umano. E poi mi ha cambiato il modo di vedere le cose, è tutto talmente oltre il limite, che poi vedi le cose con occhi diversi, ti apre la mente a 360°. Quello che ho amato di più è la vitalità che queste persone ti trasmettono, la voglia di reagire, di vivere nonostante delle avversità immense, più grandi di qualsiasi cosa abbia dovuto vivere io nella mia vita. In più la cultura indiana, quella più spirituale, lo yoga, mi hanno aiutato a trovare un approccio molto più positivo, più sereno nella vita in generale.
NBM: Possiamo dire che in qualche modo sia stata la cosa che ti ha permesso di vedere tutto il viaggio sotto un’altra luce.
CT: Per me il viaggio è sempre stata una terapia introspettiva perchè ho sempre viaggiato da solo. L’India mi ha permesso di andare più in profondità, è stato il punto in cui praticamente era iniziato il giro del mondo, perchè del Nepal ero arrivato proprio lì. Quando sono arrivato mi sono detto che a quel punto era il momento di analizzare tutti miei interessi, le mie abitudini e chiederemi se fossero effettivamente miei o se fossero invece stati trasmessi dalla società in cui ero cresciuto. A quel punto ho iniziato a fare pulizia, sono diventato vegetariano, ho cambiato modo di alimentarmi, ho cercato di essere più coerente con quello che pensavo, ho iniziato a rimettermi un po’ a posto, a trovare un contatto con me stesso, ho capito veramente chi ero lontano dai condizionamenti familiari. Poi lo yoga mi ha dato un approccio straordinario alla vita. Succedono cose che possono accadere soltanto là, solo in India.
NBM: Sembra quasi che tu sia riuscito a diventare una specie di filtro che ha lasciato andare le cose negative che ha incontrato per tenere, sedimentate dentro di sè, solo le cose positive.
CT: Probabilmente un po’ è così, perchè molte persone di fronte alle baraccopoli scappano, invece io ho voluto metterci la faccia dentro. Ci sono dei bambini che seguo a Varanasi, e quando passo dall’India vado a trovarli e sto con loro, vivo la vita con loro perchè comunque in quella vita così piena da miseria, io trovo anche tanta ricchezza. Un’umanità e una vitalità che l’uomo tira fuori quando deve sopravvivere, ed è qualcosa che nella nostra società sicuramente manca. C’è un benessere materiale, ma poca vita. Là invece si percepisce una voglia di reagire e di sopravvivvere molto più intense, che possono davvero essere d’esempio.
NBM: Hai mai provato quella sensazione d’impotenza per cui vorresti salvarli tutti ma senti che non puoi?
CT: Questa sensazione l’ho avuta in Pakistan quando a 20 anni ero andato ad aiutare i terremotati. Ero disperato. Volevo aiutare tutti e non potevo. Avevo tra l’altro perso anche una decina di chili per un problema di stomaco continuo, dopo qualche mese sono dovuto rientrare in Italia, perchè stavo veramente male. Però era la prima esperienza, ed ero forse troppo coinvolto. Volevo salvare tutti, volevo salvare il mondo. Poi con l’esperienza ho capito che bisogna accettare tutti i lati della vita, nel bene e nel male. Ho imparato ad amare la sofferenza, perchè non esisterebbe la gioia se non ci fosse sofferenza. Dopo un po’ accetti il bene e il male, come ami la morte, perchè se non ci fosse la vita non sarebbe così magica. Per cui alla fine faccio quello che posso fare. All’inizio volevo fare il cooperante tutta la vita, volevo andare di progetto in progetto, nel mondo, a salvare la gente. Poi mi sono reso conto che potevo fare qualcosa di ancora più grande condividendo la mia storia e riuscendo a dare ad altri la spinta a trovare se stessi. Mi sono reso conto di poter essere d’aiuto anche qui.
NBM: In fondo non è necessario per tutti fare il giro del mondo, a volte in effetti basta fare anche qualcosa di più piccolo ma che sappia toccare le corde giuste.
CT: Infatti, la gente ha solo bisogno ci credere nei proprio sogni e molto spesso la società in cui viviamo impedisce che ciò accada. Le grandi città diventano i cimiteri di questi sogni, le persone non hanno più la forza di sognare. Io provo a dare speranza, condividendo la mia storia, i miei sogni cerco di riaccendere qualcosa. Vivere con passione, perchè è la vera benzina dell’anima. Io vedo molti zombie intorno a me quando torno in questa realtà, persone schiacciate dalle convenzioni, dalle abitudini, non si vede quasi più quella fiammella che ti permette di accendere i propri sogni. Io vorrei provare a essere d’esempio per riaccendere questa passione, qualunque essa sia. Non devono essere uguali a miei, perchè tutti noi siamo diversi, l’importante è continuare ad averli.
NBM: Ci sono stati dei momenti in questi ultimi anni in cui hai pensato di non farcela, di non riuscire a vivere i tuoi sogni.
CT: Onestamente no. Da quando ho perso mia madre ho avuto una reazione a quel dolore profondo che mi ha fatto amare la vita immensamente e soprattutto credere in me stesso. Non ho mai perso la speranza, nemmeno quando in Laos ho avuto la malaria e stavo in questo ospedale senza capire bene quello che mi stava succedendo. Non ho mai avuto una ragione per smettere di fare quello che sto facendo. La mia paura più grande non è quelle di morire, ma è quella di non vivere.
NBM: Si percepisce in te una fortissima consapevolezza, una conoscenza di te stesso davvero profonda, quasi tangibile.
CT: Ho fatto un lavoro introspettivo molto forte, intenso, dopo molti anni in cui sei da solo, in determinate situazioni, le cose riesci a vederle in modo molto chiaro.
NBM: Hai sicuramente una grande capacità di comunicare di quello che sei, un modo molto aperto e positivo.
CT: In viaggio spesso è successo che bastasse uno sguardo con alcune persone, per capirsi perfettamente. una specie di magia. Un po’ come è successo quando ho incontrato la mia compagna, in Svezia. Ho avvertito subito una purezza, un’innocenza e un’energia che è la stessa che avverto quando cammino nella foresta. Io vengo da una situazione che mi ha contaminato molto e il mio scopo, alla fine, era proprio quello di ripulirmi da quello avevo assorbito nella mia adolescenza e nella mia infanzia.
(a questo punto Frank fa notare che la storia di Carlo e quella di Chris McCandless ha sicuramente dei punti in comune, come il voler vivere a contatto con la natura, cercare di vivere le persone, allontanarsi da certe logiche schiaccianti di una società che non ti appartiene. N.d.A.)
CT. Sicuramente ci sono delle ragioni di base che sono simili, io però non condivido molto la durezza con cui si è relazionato con la famiglia. Io credo si debba andare oltre, superare certi ostacoli perchè spesso anche queste persone sono vittime di una realtà che le ha rese così. Io voglio mantenere un contatto con questa realtà, non voglio sicuramente isolarmi. Voglio essere in grado di vivere ovunque, che sia o meno la natura. Se mai avrò dei figli, magari li crescerò in una foresta, ma sicuramente insegnerò loro a vivere in una città perchè a 20 anni dovranno essere in grado di fare la loro scelta, e non quella che io imporrò loro. Per me è molto importante la capacità di stare ovunque.
NBM: Come dicevamo prima, riesci a comunicare questa sensazione di capacità di controllo su molte delle cose che normalmente invece facciamo a fatica a controllare e che spesso sembrano sovrastarci, ed è forse anche questo uno dei motivi del successo del tuo libro.
CT: Quello che faccio io, è cercare di scrivere a cuore aperto. E credo che le persone lo percepiscano. Non indosso maschere, non cerco di apparire quello che non sono.
NBM: Per concludere, c’è un posto particolare in cui vorresti andare in cui non sei ancora andato?
CT: (fa una lunga pausa, pensierosa) Io sogno l’Antartide e il Polo Nord. Vorrei andare nei posti più estremi. Ho dei contatti per andare a lavorare una stagione invernale alle isole Svalbard e magari intanto scrivere un libro su cosa significa vivere nel posto più buio al mondo per 3 mesi. Anche l’Africa mi affascina tantissimo, perchè è primordiale, è l’inizio di tutto e ha sicuramente dei segreti che ancora non conosciamo. Però il mio pensiero adesso va agli estremi.
Carlo ci saluta, pronto per tornare a Torino, prima, e la foresta svedese poi. Abbiamo chiacchierato a lungo senza rendercene conto, speriamo ci sia preso un’altra occasione. Nel frattempo potete seguirlo sulla sua pagina FB Vagamondo.
La foto in copertina è di Carlo Taglia