Ieri, la quinta puntata di Deejay On The Road condotta da Frank e in diretta sulla pagina Facebook di Radio Deejay, è stata dedicata a Wandering Wil, ovvero Francesco Grandis, un ex ingegnere elettronico che ben presto ha deciso di abbandonare la sicurezza di un lavoro a tempo indeterminato per iniziare a viaggiare. Su NoBordersMagazine abbiamo ospitato spesso viaggiatori che sono partiti con un forte bisogno di cambiamento, quindi non potevamo farci scappare una chiacchierata anche con lui.

Il primo passo per Francesco è stato un passo che, nel 2009, lo ha portato in giro per il mondo. Una volta rientrato in Italia, continua a sentirsi “nel posto sbagliato” e decide quindi di rimettersi in cammino, questa volta lavorando come programmatore da remoto. Prima tappa: Scandinavia.

Nel 2013 Francesco decide di abbandonare definitivamente il lavoro del programmatore (che faceva da remoto per mantenersi) e per dedicarsi completamente al viaggio.

Perché?
Perché viaggiare per Francesco è un atto di ricerca della felicità, un atto che non vuole “disturbare” con lavori che con il viaggiare hanno poco a che vedere.

Rispetto a tanti altri viaggiatori che abbiamo incontrato, Francesco è quello che ha lo sguardo più lucido sul mondo che vuole esplorale e sull’obiettivo finale verso cui si è incamminato nel 2009: la vita è una sola, invece di aspettare il momento della pensione, è meglio cercare di viverla appieno il prima possibile, senza aspettare o senza rimandare.

Ogni suo viaggio è andato ad aggiungersi a un puzzle di significati che Francesco ha iniziato a comporre nel 2009 e sta continuando a comporre tutt’oggi, riuscendo a far diventare realtà il suo sogno: scrivere. Sì perchè è questo che oggi Francesco vuole fare, scrivere, come in realtà ha sempre desiderato fare, anche se era stato sviato dalle strane pieghe che la vita prende di tanto in tanto. Il suo primo libro “Sulla Strada Giusta” esce in questi giorni per i tipi di Rizzoli, dopo una prima edizione che si era totalmente autoprodotto. Il secondo è già in cantiere, e – come ci ha raccontato –  sarà completamente diverso da questo, anche se non sarà difficile ritrovare il Francesco viaggiatore.

Dopo la chiacchierata con Frank, abbiamo fatto qualche domanda in più a Francesco, incuriositi dalla sua lucidità.

NBM: Cominciamo chiedendoti qual è il posto più bello che hai incontrato tra tutti i tuoi viaggi. Non il posto esteticamente più bello, ma quello che ti ha smosso di più, che ti è rimasto più dentro.

FG: In verità non ho un posto preciso, ma direi qualunque ambiente naturale il più vicino possibile al selvaggio. Anche se non sono mai andato nella natura selvaggia più estrema, perchè comunque sono sempre stato in posti non troppo distanti da una presenza umana, come una strada asfaltata o una struttura di un parco nazionale, anche se comunque lontani da tutto. Però i momenti in cui ho sentito di essere più vicino alla natura selvaggia, ecco direi che è quello il posto. E ne ho trovati in Canada,  nel nord della Scandinavia.

NBM: Del Canada hai visto solo la parte occidentale.

FG: Sì, ho visitato la zona del British Columbia, dell’Alberta, le Montagne Rocciose. É stato in qualche modo il viaggio che ha fatto scattare tutto. Per esempio è stato lì che ho incontrato il silenzio per la prima volta. Quel silenzio in cui ti sembra quasi di poter sentire l’erba che cresce! Questa cosa mi fa tornare alla memoria una scena del film “Into the wild”, quando Chris che sta camminando ad un tratto alza gli occhi al cielo e vede un aereo e io so cosa ha pensato:”Neanche qua sono abbastanza solo!”. In Canada ho sperimentato per la prima volta l’essenza della natura, della sola presenza di piante, orsi, animali.

NBM: Ti capiamo benissimo, perchè siamo stati in Canada e abbiamo sperimentato questa sensazione di assenza, di silenzio, di immensità.

FG: Quanti ricordi…gli odori…bellissimo…sempre in Canada mi sono trovato in un parco naturale, quindi una struttura attrezzata, dove si poteva andare solo con la canoa. Quindi prendo la canoa, quella tipica, con le punte, e si pagaia per qualcosa come tre ore per raggiungere uno dei punti di campeggio, uno di quelli autorizzati dai ranger. Per cui sei consapevole di essere in una situazione regolamentata, ma con una fortissima presenza di natura incontaminata. Risalgo questo lago, poi mi sistemo, accendo il fuoco, faccio le mie cose, poi mi sposto un po’ , vado verso l’acqua, al buio. Lo specchio d’acqua era perfettamente piatto, e rifletteva tutta la Via Lattea (Francesco si interrompe un secondo per mostrarci le braccia, e i brividi che sono comparsi. NdA). Mi sono messo a piangere. L’unica cosa che pensavo era: io da qua non voglio andare via. Quella è stata una vera e propria “pugnalata” perchè non era stata preventivata, la mia idea iniziale era un’altra, di fare altro e invece mi sono ritrovato con questa presenza della natura che ha scombussolato tutto. Dovevo fare kayak e mountain bike, e invece ero rimasto sulle rive di un lago a piangere di gioia. Non era quello che mi aspettavo, tanto che quando sono tornato a casa, al mio lavoro, quello per cui ero tanto eccitato prima, improvvisamente aveva perso tutto il suo significato. Non era più l’ingegneria e la robotica a monopolizzare i miei pensieri, ma laghi, stelle e cerbiatti che ti tagliano la strada. Per mesi ho stressato tutti, perchè era come se non fossi mai tornato, la mia testa era sempre là.

NBM: Probabilmente però questo “germe” del viaggio l’avevi già dentro di te, anche prima, prima di studiare ingegneria.

FG: Sì, sicuramente. Solo che mi sono ritrovato su dei binari che erano quelli che percorrevano tutti. É difficile dire a 12 anni che quello che vorresti fare è scrivere, o fare il DJ, qualcuno ci riesce anche, ma la risposta più normale è che è meglio un lavoro sicuro. Questo binario, queste istruzioni che ti segnano in qualche modo e che sono l’equivalente della cartina che hanno tutti in mano e che fatalmente porta tutti negli stessi posti. Invece a volte vale la pena buttarla, così da scoprire posti che non sono per tutti. Ed è così che a quasi 40 anni sono finito a scrivere, che era quello che volevo fare da sempre. Durante una presentazione del mio libro, un signore ad un certo punto ha detto una cosa bellissima:“Normalmente una persona nella vita combatte 50 anni per tornare a fare quello che aveva deciso nei primi 10”.

NBM: Be’ almeno hai recuperato 20 anni!

FG: Sì, ma ci sono arrivato comunque intorno ai 40.

NBM: Ma dai 10 ai 40 scrivevi comunque? per te magari.

FG: In realtà no, cioè magari qualcosa, ma pochissima roba in fondo. Forse perchè in realtà più dello scrivere, subivo il fascino del raccontare. Non l’arte della scrittura in sè, per questo credo che il mio modo di scrivere sia piuttosto semplice, il chè non significa sempliciotta, ovviamente. Era il raccontare, e lo facevo per esempio da ragazzino quando giocavo ai giochi di ruolo e dovevo in qualche modo scrivere le avventure da vivere per i giocatori, inventavo le storie. E questa cosa la puoi fare in maniera un po’ superficiale oppure puoi farlo andando un po’ più in profondità, ed era quello che cercavo di fare io. Alla fine non era troppo distante dallo scrivere una sceneggiatura o inventare la trama di un romanzo. Il viaggio mi ha dato l’opportunità di raccontare una storia, e mi riuscito facile, ma non ho intenzione di fare questo per il resto della mia vita, voglio scrivere di altro. Infatti il prossimo libro sarà molto diverso. La definizione precisa non la so ancora, ma potrei azzardare un tecno-thriller, un po’ fantascientifico! Quindi torno a inventare storie, poi vedremo.

NBM: Il percorso che stai facendo si direbbe molto salutare, perchè può capitare che chi ha fatto un’esperienza molto forte come un viaggio intorno al mondo, ne scriva, ma poi rimanga in qualche modo senza benzina. Nel tuo caso invece sembra proprio che il viaggio sia stato un episodio che ti ha fatto invece partire per una direzione precisa, uno starter vero e proprio.

FG: Una volta parlavo con un mio vicino che mi chiedeva perchè facessi queste cose strane, che poi tanto strane non sono, e io gli avevo risposto che ero troppo vecchio per far le cose comode, ma che era arrivato il momento di far le cose giuste. Lui ci ha pensato un attimo e poi mi ha detto:”Avrei detto il contrario!”. Io penso che l’importate, prima o poi, sia fare quelle giuste, l’ideale sarebbe farle prima, ma se non le hai fatte, va bene anche dopo. Alla fine le cose giuste, le cose giuste per te, non puoi non farle se non finisci magari in vacanza su una spiaggia con tutti i lettini in riga, a 30 cm di distanza l’uno dall’altro.

NBM: Ora hai un figlio di 3 anni, quali sono le cose che gli trasmetterai.

FG: Io vorrei insegnargli solo le cose cardine: il valore del tempo, della libertà, il valore della conoscenza, perchè per me il viaggio è conoscenza. Invece vorrei non insegnargli le paure, perchè vedo spesso tante persone che piantano il germe della paura nei bambini, e io non voglio che accada. Per esempio una nonna che dice:”Non avvicinarti ai fornelli perchè ho paura” sta trasmettendo una sua paura e non va bene. I fornelli possono scottare e fare male, ma non per una paura altrui, di quelle non ci si deve interessare. Il fuoco può essere un pericolo oggettivo e questo te lo insegno, ma le paure proiettate degli altri no, questo no. Il contagio delle paure, può essere subdolo e può farti anche crescere con addosso cose che non ti appartengono, timori che tu non avresti nemmeno. Questo vorrei insegnare a mio figlio, ad avere le sue paure, e a non farsi condizionare da quelle degli altri.

La foto in copertina è di Francesco Grandis.