Anche quest’anno siamo andati a passare un fine settimana a Reggio Emilia, per il festival di Fotografia Europea.  Come ogni anno ci siamo goduti la città emiliana, che riesci sempre a farsi apprezzare per le sue iniziative. Questa volta oltre alla fotografia, abbiamo anche avuto un intermezzo musicale tanto imprevisto quanto piacevole, in quanto giusto in questi giorni si svolgeva presso il Teatro Valli un concorso internazionale per quartetti d’archi, l’XI Premio Paolo Borciani. L’accesso ai primi 3 turni era totalmente gratuito, per cui abbiamo potuto assistere ad alcune esibizioni di alcuni tra i più importanti quartetti in circolazione. Ieri sera, domenica 11 giugno, c’è stata la finale che si è conclusa con un colpo di scena: la non assegnazione del primo premio. Se qualcuno ha avuto modo di vedere la serie “Mozart in the Jungle”, sa quanto possa essere spietato il mondo della musica classica!

Parentesi musicale a parte, torniamo a Fotografia Europea, giunto ormai alla sua 12° edizione.

Le sedi delle mostre sono in alcuni casi ormai consolidate, come i Chiostri di S.Pietro e i Chiostri di S.Domenico, Palazzo dei Musei, la Biblioteca Panizzi, lo Spazio Gerra, la Galleria Parmeggiani e infine Palazzo Magnani; ci sono poi le novità degli ultimi anni come Palazzo da Mosto e via Secchi 11 (già impiegato in altre edizioni) e una novità assoluta come il Museo di Storia della Psichiatria (non proprio facilmente raggiungibile, ma in ogni caso un posto in cui vale la pena andare).

Cosa abbiamo visto? Quest’anno c’era molto bianco e nero per esempio con gli spazi dedicati a Gianni Berengo Gardin ai chiostri di S.Pietro e a Paul Strand e Zavattini a Palazzo Magnani. Molta memoria, quindi, come giustamente recita il sottotitolo del festival “memoria, archivi, futuro”. Personalmente abbiamo apprezzato molto quello che riguardava il passato (forse perchè siamo vecchiaroli dentro e fuori?), la parte proiettata sul futuro ci ha lasciati un po’ più perplessi. Forse perchè un po’ troppo vicino all’installazione artistica, più che alla fotografia, forse un po’ troppo centrati sulla “Rete”, con questo concetto ripreso da più parti, che alla fine viene a un po’ a noia. Alcuni lavori sembravano usare la fotografia più come pretesto che come effettiva protagonista, e sono quelli che ci hanno interessato di meno. Resta il fatto che Fotografia Europea rimane comunque un momento di piacevole immersione nel mondo della fotografia, non solo per chi ama questo mezzo.

Chiostri di S.Pietro

Si caratterizzano per puntare l’attenzione su quello che è stato, la memoria quindi viene stimolata dalla storia di Fabrica, dalla fotografia in Sudafrica e dalle varie interpretazioni dell’Enciclopedia, per poi finire, al piano terra, con la retrospettiva su Gianni Berengo Gardin che abbraccia un arco di tempo che parte dagli anni ’50 fino praticamente ai giorni nostri.

Chiostri di S.Domenico

Interessantissimo lavoro su un piccolo paese di circa 4000 abitanti che sono stati tutti fotografati, con l’intento di portare avanti questa documentazione antropologica anche negli anni a venire. É il progetto di Tommaso Bonaventura, “Fondo. Un Censimento Fotografico”.

Via Secchi 11

Una lampada a raggi UV vi porterà alla scoperta di immagini che, alla luce delle lampade non riuscirete a vedere. L’installazione di Giorgio Di Noto, “The Iceberg”, si sviluppa in due stanze, una prima illuminata a intervalli regolari e una seconda completamente immersa nell’oscurità. L’esperienza è piacevole e interessante, ma forse un po’ troppo tangenziale all’idea di fotografia che abbiamo noi. Un po’ come tutti lavori presenti in questo spazio. La sensazione di essere proprio ai confini del mondo-fotografia è molto forte!

Palazzo da Mosto

Qui le carte si mescolano parecchio. Ci sono lavori che spaziano molto, partendo da quello molto intimista di Daniel Blaufuks, che fotografa insistentemente il tavolo della sua cucina, facendone una ricerca quasi pittorica alla Morandi, su luce e forma, anche se dichiara di essersi ispirato alla letteratura di Georges Perec. Poi ci sono autori che si concentrano sulla quantità di immagini disponibili in rete, sulla manipolazione, sulle immagini d’archivio, sulle immagini spesso banali come quelle degli annunci immobiliari. Un lavoro molto interessante è quello svolto da Edmund Clark e Crofton Black che hanno indagato su come la CIA abbia utilizzato luoghi apparentemente normali, per farne centri di detenzione per la lotta al terrorismo. Entrati in possesso di documenti de-secretati dal governo degli Stati Uniti, sono riusciti a ricostruire una rete di contatti con paesi europei come Romania, Mecedona, Lituania e la stessa Italia, dove venivano indicate strutture utilizzate per il fermo e per gli interrogatori di sospettati. Alcuni con caratteristiche da caserma, altri come stanze di hotel o banali appartamenti di periferia. Uno, in particolare, quello di Milano in zona Dergano, dove era stato trattenuto un imam sospettato di terrorismo qualche anno fa.

Palazzo dei Musei

Una delle sedi storiche di Fotografia Europea, varrebbe la pena solo per la passeggiata che si può fare attraverso teche pieni di animali, fossili, conchiglie, per non parlare di tutti gli animali imbalsamati e gli scheletri. Un posto meraviglioso a prescindere, che ogni anno resta una vera gioia per gli occhi.

Lo spazio al terzo piano ospita al 5° edizione di Giovane Fotografia Italiana , destinata agli under 35. Anche qui i temi affrotntati sono i più diversi: dalle storie di famiglia alle installazioni multimediali (ancora risentiamo nelle orecchie i lamenti dei “fantasmi” che si sono abbattuti sui vietnamiti). Il tema era Loop, e dire che ci ha convinto fino in fondo…insomma.

Galleria Parmeggiani

Altro luogo storico che vale sempre la pena visitare per constatare ogni volta quanto sia fuori dall’ordinario un posto così nel centro di Reggio Emilia. Tre gli autori presenti, selezionati con la Public Call. Francesca Catastini si muove tra teatri anatomici e trattati rinascimentali realizzando un lavoro davvero molto interessante e perfettamente inserito nel contesto della Parmeggiani. Torna il bianco e nero (più una a colori) in una sorta di corto circuito analogico-digitale nel lavoro di Marcyn Ryczek, con immagini così “formalmente costruite” da sembrare di un’altra epoca. Vecchio? Nuovo? Alcune sono così “stucchevoli” da sembrare avanguardia.

Spazio Gerra

Il punto di contatto tra musica e fotografia. Il che non significa solo foto di concerti – anche se ce ne sono – ma molto spesso si traduce nel vero e proprio racconto di un’epoca. In passato era accaduto con il jazz o con i CCCP, con le discoteche dell’Emilia e quest’anno con la stagione di Woodstock e dei figli dei fiori. Fotografi che hanno segnato un’epoca con le loro immagini, finite poi su innumerevoli copertine di dischi e riviste. Fotografi, come l’italiano Bruno Vagnini, che quasi senza rendersi conto si trova protagonista di uno degli eventi che hanno fatto la storia, tra John Lennon e Yoko Ono. Da Jimi Hendrix a Jim Morrison, da David Crosby a Janis Joplin, troverete proprio tutti. Anche un giovanissimo Timothy Leary, il papà dell’LSD.

Biblioteca Panizzi

Nella sala che tradizionalmente ospita le mostre per FE, quest’anno erano raccolti alcuni piccoli gioielli della storia della fotografia. Un tuffo nel passato più profondo fatto di dagherrotipi, ambrotipi e ferrotipi, albumine e carte salate, foto di montagna fatte nell’800, foto di guerra. Tecniche di stampa come cianotipie e platinotipie, invenzioni come le carte de visit che hanno cambiato il rapporto delle persone con la fotografia. Un viaggio meraviglioso in un passato che – a guardare bene – non è poi così lontano.

Palazzo Magnani

La grande mostra che al solito caratterizza gli spazi di Palazzo Magnani quest’anno era dedicata a Paul Strand e al suo “Un Paese”, autentica pietra miliare del fotolibro, uscito negli anni 50, grazie alla spinta e alla passione di Cesare Zavattini. La mostra si presenta come una specie di making of, raccogliendo molti documenti dello scrittore di Luzzara, le lettere con gli editori, con il fotografo, i momenti di stallo della pubblicazione, le successive fortune. Sono raccontati inoltre tutte le influenze successive che quel libro ha portato con sè: dalla grafica agli omaggi dei grandi fotografi come Berengo Gardin e Stephen Shore, l’influenza su Ghirri e Barbieri. Una mostra che guarda alla fotografia, ma non solo.

Museo di Storia della Psichiatria

Situato nel comprensorio di San Lazzaro, all’interno del Padiglione Lombroso, il Museo ospita per la prima volta una mostra di FE. Il posto di per sè vale una visita. Immerso nel verde, in un atmosfera vagamente sospesa dovuta al caldo e al totale silenzio della domenica mattina, nonostante qualche difficoltà di accesso, ci ha consentito di scoprire un luogo che non conoscevamo.

L’installazione presente all’interno del museo, una produzione originale di Christian Fogarolli, è d’impatto con il luogo che la ospita. Sicuramente in questo caso si sfonda la barriera che divide fotografia e arte, ma è una commistione talmente ben riuscita che si apprezza fino in fondo. I temi della malattia mentale vengono elaborati con pochi e  scarni oggetti, nei locali che hanno ospitato i malati fino al cambiamento portato avanti da Basaglia negli anni ’60. Si respira, anche involontariamente, una storia fatta di sofferenza e dolore, storia che si percepisce dai particolari architettonici come porte e serrature, feritoie e angoli arrotondati; storia che si percepisce dall’opera dell’artista tra trattati e manufatti di vetro, carta e marmo. Al piano terra ci sono le sale del vero e proprio museo, poche sale ma che vale la pena di vedere. Tutte.

Info:

Tutte le mostre saranno aperte fino al 9 luglio con i seguenti orari:

  • Sabato e Domenica dalle 10 alle 23, il venerdì dalle 18 alle 23.

La Galleria Parmeggiani, Palazzo dei Musei e il Museo della Psichiatria invece:

  • Sabato e Domenica con orari 10-13 e 16-19.

La Biblioteca Panizzi negli orari di apertura al pubblico.

I biglietti sono in vendita sia presso i Chiostri di S.Pietro che presso Palazzo Magnani negli orari di apertura delle mostre.

Nota Bene: L’installazione della foto in copertina raccoglie 275.000 immagini, quelle per cui è tarato un moderno otturatore di una macchina digitale.