Continua il viaggio di Paolo, Serena e della loro bimba attraverso il Canada. Qui la prima parte.
Québec è una città particolare, una di quelle che da queste parti viene definita “one of a kind”. Città più antica del Nordamerica (fondata nel 1608 dall’esploratore francese Samuel de Champlain), vanta una serie di primati validi “a nord del Messico”, tra cui quello di essere l’unico abitato nel continente nordamericano a essere circondato da mura. Sul centro storico, dichiarato Patrimonio dell’Umanità Unesco nel 1985, si è già detto tutto. In un certo senso è più francese di una città francese, orgogliosa della propria lingua e delle proprie tradizioni (nella Provincia del Québec il francese è l’unica lingua ufficiale dal 1977), ma è diversamente francese, in senso canadese: il francese che si parla qui è molto diverso da quello di Parigi, ci sono più caffè della catena Tim Hortons che baguette, e soprattutto per le strade si respira quella rilassatezza che è il marchio di fabbrica del Canada.
Il limite, forse, è quello di essere una città museo, capitale provinciale sia di nome che di fatto, più chiusa e decisamente meno multiculturale delle altre città canadesi. Un vincolo che è alla base del suo fascino, che permette di passeggiare per le strade acciottolate, di scendere al quartiere Petit Champlain con la funicolare, di girovagare per il quartiere Saint Roch, di ammirare il San Lorenzo dalla terrazza dell’immenso albergo-castello Chateau Frontenac o di attraversare il fiume al tramonto con il traghetto. Ma rimanere chiusi tra le mura sarebbe un errore. Appena fuori ci sono quartieri pieni di fascino: il modaiolo Saint Roch, certo, ma anche il quartiere Saint Joseph con le sue stradine in salita, la zona del Parlamento, i caffè sulla Grande Allée (una versione in piccolo degli Champs Elisées), il grande polmone verde delle Plaines d’Abraham.
A Québec abbiamo dormito in un monastero. No, era un hotel. Sbagliato, era un museo. Non parliamo spesso degli alberghi, e non lo faremmo nemmeno stavolta se non fosse che il concetto che sta dietro questo due stelle e mezzo super chic è particolarmente interessante e in qualche modo rappresentativo di Québec. Il Monastère des Augustines è stato per più di 3 secoli un monastero e un ospedale, fondato nel 1639 dalle suore Augustine. Quando, alcuni anni fa, le suore si sono accorte del rapido decadimento della loro comunità non si sono perse d’animo. Hanno coinvolto la società civile, costituendo una fondazione per preservare il loro immenso patrimonio di carte d’archivio e manufatti. Così, con il contributo di vari enti l’intero complesso è stato ristrutturato da architetti di grido, scelti dalle religiose (che, tutte ultraottantenni, hanno viaggiato in Europa in cerca di case history sulla riconversione dei monasteri), e dopo il museo nel 2015 ha aperto un nuovo format di accoglienza e ristorazione. Niente beneficienza, però: qui si paga (non poco), per riposarsi, cambiare il corso della propria vita o semplicemente visitare la città. Le camere sono semplici, originali o contemporanee, il ristorante segue dettami olistici in fatto di alimentazione, si può partecipare a sessioni di yoga, meditazione oppure richiedere un massaggio come in una spa. Per tutti gli ospiti è inclusa la visita al museo, davvero moderno e interessante. Tutto bello, abbastanza strano da essere canadese.
Un ultimo viaggio in treno e siamo a Montréal, la “nostra” Montréal. Qui Serena è nata, qui abbiamo trascorso più tempo che ovunque fuori dall’Italia, qui abbiamo qualche amico (magicamente sono tutti fuori città al nostro arrivo), qui ci sentiamo davvero un po’ di casa.
Montréal d’estate è come una ballerina a cui hanno comprato le scarpette nuove. Sarà che qui l’inverno è lungo e particolarmente inclemente (i – 20 gradi sono perfettamente normali), quando arriva la bella stagione i montrealesi invadono la città in un’esplosione di festival all’aperto e iniziative culturali di ogni tipo. Quando arriviamo noi ne sono in corso almeno 3, dei quali ci accorgiamo con una semplice passeggiata. Il festival di musica “Osheaga”, un enorme raduno di cosplayer e “Présence autochtone”, un festival che da 20 anni mette al centro i popoli nativi di tutto il mondo. Elettra impazzisce di gioia durante la sfilata conclusiva che sfocia in Place des Arts, il centro dove pulsa la vita artistica della città e dove si affaccia lo splendido Macm, Museo di arti contemporanee: passano le delegazioni dei vari paesi, avvolte in costumi scintillanti, e il culmine è quando una ballerina cinese le lancia una collana, che lei, sulle spalle di papà, riesce ad afferrare al volo.
Intorno c’è la Montréal di sempre, con le sue certezze e le tante novità, sospesa com’è tra New York e Parigi. Per esempio, il primo giorno ci inventiamo una colazione tra tecnologia e tradizione: con Uber mi faccio portare dall’albergo nella zona del Mile End. Qui c’è St. Viateur, che sforna tutti i giorni, 24 ore su 24, i migliori bagel della città e – forse – di tutto il nordamerica. Vendono anche il cream cheese e gli altri possibili ingredienti per riempirli, così il gioco è fatto, e pochi minuti dopo facciamo una ricca colazione in camera.
Montréal è davvero una città che sa godersi la vita. È stata la quasi capitale del Canada negli anni ’60 e ’70 (nel giro di meno di 10 anni, dal 1967 al 1976, ha ospitato l’Expo Universale e le Olimpiadi estive) e oggi è il centro delle arti e dei mestieri creativi. Qui ci sono 3 università, tra cui la celebre McGill, di cui mostriamo il campus a Elettra sperando di ispirarla per il futuro; la città ospita anche il quartiere generale del Cirque du Soleil e la sede di importanti case di produzione di gaming come Ubisoft. Si passa dal francese all’inglese nella stessa frase, è uno dei luoghi più hipster del pianeta senza mai prendersi troppo sul serio. Anche d’estate è piena di giovani e famiglie, che si radunano la domenica (quando fa bello) nel parco Jeanne Mance, a piedi del Mont Royal, per quella che chiamano “Dimanche Tam Tam”, un happening autogestito dove si mangia sui prati e si balla in totale libertà, accompagnati da musicisti e percussioni.
Difficile stilare una classifica delle cose imperdibili di una città così ricca e complessa. Di sicuro una passeggiata nella città vecchia, lungo il porto adagiato sul San Lorenzo, poi su attraverso la piccola Chinatown (notevole la pasticceria cinese Harmonie) fino al Plateau Mont Royal, attraversato dai due grandi assi paralleli del boulevard Saint Laurent e Rue Saint Denis. Qui si concentrano luoghi storici come Scwartz Deli, che serve la migliore smoked meat (simile al pastrami newyorkese) e di tendenza, come la poutinerie “La Banquise” dove a ogni ora del giorno e della notte una processione infinita di persone attende di poter assaggiare la migliore poutine del paese. Cos’è? Il piatto nazionale del Quebec, di cui non esitiamo a schierarci grandi sostenitori (a piccole dosi). Nella sua versione base è composto da una montagna di patatine, condite con fiocchi di formaggio e sugo di carne, ma qui ne fanno mille varianti. Elettra ha assaggiato e apprezzato, ma per favore non chiamate il telefono azzurro!
Dulcis in fundo, ultima tappa al Marchè Jean Talon, nel quartiere italiano “Petite Italie”, disseminato di bar (come il Caffè Italia o il San Simenon) e negozi dove si parla solo italiano. Qui si fa rifornimento di sciroppo d’acero, venduto in latte a prezzi irrisori rispetto all’Italia, poi ci buttiamo su un dolce a base di questo delizioso e dolcissimo alimento.
E ora, pieni di gioia e calorie, siamo davvero pronti ad attraversare il Canada. #leavingmontrealnevereasy.
Serena e Paolo sono una coppia di viaggiatori da sempre. Da quando è nata Elettra sono diventati un team in viaggio, esplorando in particolare il continente nordamericano. Direttore creativo (Serena), giornalista e storyteller (Paolo), lavorano fianco a fianco nell’agenzia creativa Spacenomore, con sede a Torino | sito web + facebook