Continua il viaggio di Paolo, Serena e della loro bimba attraverso il Canada. Qui la prima parte. Qui la seconda parte.
Poco meno di 5 ore di volo bastano per attraversare il Canada, da Montreal a Calgary. In origine avremmo dovuto percorrere questi 3600 km in auto, lungo la mitica Trans Canada Highway. Poi abbiamo desistito: troppe ore di auto per Elettra e troppo magnifico nulla da attraversare, gli stati agricoli, gli immensi spazi vuoti del Manitoba e del Saskatchewan. Abbiamo pensato al treno, una romantica corsa verso Ovest come i pionieri, ma in Canada i treni passeggeri costano cifre folli, a meno che ci si accontenti di stare 3 giorni e tre notti seduti su un sedile.
Quindi ecco Calgary, la Dallas del Canada, capitale economica dell’Alberta e dell’industria petrolifera. La Lonely Planet quasi consiglia di evitarla ma noi, complice un problema con il plafond della carta di credito che ci impedisce momentaneamente di affittare una macchina, decidiamo di concederle almeno una chance. Risultato: entrambi riusciamo a trovarci qualcosa di buono, anche se per Serena è una promozione a pieni voti, per me una sufficienza tranquilla. La cosa che colpisce di più di downtown, a parte i ‘soliti” grattacieli, è la rete di passaggi sopraelevati e climatizzati a quasi 5 metri da terra che consentono di attraversare le strade e trasferirsi da un’edificio all’altro senza affrontare i rigori dell’inverno, in pratica la risposta di Calgary al sistema di camminamenti sotterranei di Montreal.
Comunque, a conti fatti, chi esce da Calgary con una vittoria a mani basse è Elettra, che sfodera ai piedi un paio di stivali rosa da perfetta cowgirl.
I problemi con il noleggio ci hanno costretti a rivedere i piani, saltando a piè pari nelle badlands alla scoperta dei fossili di dinosauro, con grande sconforto di Elettra. Però l’Alberta sud occidentale ci regala panorami magici: praterie e dolci colline spazzate dal vento, mandrie in libertà, e soprattuto l’emozione di Head Smashed In Buffalo Jump, il luogo dove i nativi per migliaia di anni hanno cacciato i bisonti portandoli a cadere da una rupe. Al centro visitatori, nascosto nel fianco della collina, è in corso un piccolo pow wow: tra un ballo e l’altro Elettra fa amicizia con una sua coetanea della tribù dei Piikani, una comunità della nazione Blackfoot. Parlando con alcuni nativi facciamo i conti con i fantasmi della storia: lo sterminio dei bisonti, uccisi a migliaia dai bianchi per le corna o per sport, le carcasse lasciate a marcire nella prateria, l’istituzione delle riserve, i patti non rispettati, l’omologazione forzata cui per decenni sono stati sottoposti, il razzismo e le discriminazioni.
Prima di abbandonare questo angolo di Canada facciamo una breve puntata in un parco relativamente poco conosciuto, il Waterton Lakes National Park, al confine con lo stato americano del Montana. Qui le praterie dell’Alberta incontrano le Montagne Rocciose, in uno scenario di grande bellezza. Noi ci concediamo un piccolo lusso, con un tè pomeridiano allo storico Prince of Wales Hotel. C’è tanto legno nella lobby, e trofei di caccia, e un enorme lampadario. Serviti da camerieri in kilt scozzese ascoltiamo il pianista intonare “Imagine” guardando il lago attraverso le vetrate. Tanta bellezza.
Il giorno successivo imbocchiamo la Highway 22, una vecchia strada a due corsie, non a caso nota come “Cowboy Trail”, che si snoda verso nord in un paesaggio di ranch e colline, ai piedi delle Rocky Mountains. Il minuscolo borgo di Longview è una perla nascosta, con la sua atmosfera da selvaggio west e il Longview Jerky Shop, una macelleria che produce la miglior carne di manzo essiccata che abbiamo mai assaggiato. Non è solo un paesaggio da cartolina. Fermi in una stazione di servizio che sembra un posto di frontiera, davanti a un murale che celebra l’epopea dei guardiani di mandrie, osserviamo il traffico dei cowboy di oggi, con i cappelli, gli stivali sporchi di fango, gli speroni e gli immancabili pick up. Longview è un luogo vero, e forse è per questo che Clint Eastwood ha ambientato qui il western “Gli spietati”.
Prossima tappa Banff, capitale del parco nazionale più famoso del Canada. Arriviamo in un momento particolare, al culmine della stagione estiva più secca di sempre, con decine di incendi attivi contemporaneamente a cavallo tra Alberta e British Columbia. Se l’atmosfera in città è tranquilla, basta un cambio di direzione del vento perché il fumo di uno dei roghi invada la vallata. Cosi il paesaggio del lago Minnewanka diventa una brumosa – ma sempre affascinante – cartolina dalla Scozia. Facciamo una passeggiata, anche se la zona in questo periodo è “a rischio orso” a causa delle molte piante di mirtillo e altre bacche di cui Yogi & Co sono golosi, quindi non ci allontaniamo troppo dai punti più affollati.
Banff in sé è una località molto turistica, ma per nulla spiacevole, a metà tra mondanità e turismo nazional popolare ha saputo mantenere parte del fascino del passato. È ricca di attrattive, tra cui una fitta rete di sentieri molto facili che, partendo dal centro città, conducono in pochi minuti in mezzo al verde, come quello che porta alle rapide del fiume Bow. Come altri luoghi del Canada, apparentemente è fin troppo civilizzata, ma appena ti allontani qualche metro dalle case ti rendi conto che la vera padrona di casa è la natura e tu “solo” un ospite.
Una cinquantina di chilometri più a nord lungo la scenografica Bow valley Parkway, Lake Louise è il luogo più noto del parco, fotografato miliardi di volte. La giornata non è delle migliori, con nuvole basse e pioggia a tratti (sì, la stessa pioggia che qui era attesa da mesi), ma la vista del lago verde blu con il ghiacciaio Victoria sullo sfondo vale il viaggio. Il meteo, le orde dei turisti e soprattutto la nostra tabella di marcia ci impediscono la deviazione per il lago Moraine (dicono altrettanto bello o forse più), ma rimediamo con il turchese-intenso-anche-nella-nebbia di Peyto Lake, che guardiamo dall’alto dopo una breve passeggiata.
Il tempo di avvistare un orsetto nero intento a sgranocchiare bacche sul ciglio della strada, poi Serena inizia a sentirsi poco bene, con forti vertigini e grande affaticamento. Scendiamo alla ricerca di una farmacia e della civiltà, ma alla fine approdiamo al Pronto Soccorso. Niente di grave (una specie di labirintite) ma un bel po’ di spavento e programmi da rivedere, tanto che i due giorni successivi li trascorriamo in un romantico lodge di montagna, dove almeno Serena può restare sdraiata il più possibile.
Kamloops è la nostra ultima tappa prima di Vancouver, e ci colpisce al cuore soprattutto grazie ai suoi magnifici parchi lungo il fiume.
Ci sono giochi per bambini, che qui immancabilmente prevedono tronchi da scalare e reti sulle quali arrampicarsi, spazi verdi senza cartelli “Vietato calpestare l’erba” e chilometri di passeggiate a piedi o in bicicletta. In estate ogni sera c’è un concerto, e sembra che tutto il paese sia uscito di casa per condividere un momento di serenità. È pieno famiglie con bambini, tanti giovani, anziani super organizzati con sedie pieghevoli e cena al sacco, food truck che vendono gioia e calorie (noi scegliamo i mini donuts ricoperti di zucchero alla cannella) e un’atmosfera rilassata dove tutti sembrano rispettare le esigenze, persino la sensibilità degli altri. Così anche noi ci sdraiamo sull’erba ad ascoltare la musica, e – come ripete Elettra – ci sembra di essere dentro un quadro bellissimo.
È ancora lontano qualche centinaio di chilometri, ma con gli occhi chiusi si sente il suono dell’Oceano Pacifico.
Serena e Paolo sono una coppia di viaggiatori da sempre. Da quando è nata Elettra sono diventati un team in viaggio, esplorando in particolare il continente nordamericano. Direttore creativo (Serena), giornalista e storyteller (Paolo), lavorano fianco a fianco nell’agenzia creativa Spacenomore, con sede a Torino | sito web + facebook